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La Champions, una venere da onorare, altro che giochetti da Europa League

Ricordo i festeggiamenti per l’Europa League dello scorso anno, e la mia solitudine. Ricordo il delirio di clacson per strada, e quelle tre righe che la Gazzetta dedicava al nostro grande evento. Ricordo la tremarella per la trasferta con l’Elsfborg, e il mio orgoglio ferito. Ricordo il confronto deludente contro il Liverpoolino, il rimpianto per l’occasione persa con il Villarealino, e il mio sollievo. Forse non avevo tutti i torti se penso che oggi in pochi, tra i tifosi napoletani, saprebbero rispondere a questa domanda: chi gioca la finale di Europa League quest’anno? L’unico che può rispondere è l’amico Google, che sentenzia: Porto contro Braga, derby portoghese. Brrrr.Ora ho qualche argomento in più per esprimere tutta la mia folle e delirante gioa per l’ingresso del Napoli in Champions, preliminari o no, non me me frega niente. Questo è davvero un risultato straordinario, che forse dovremmo goderci di più, molto di più. Non se se vi è mai capitato di conoscere una ragazza carina, piena di interessi, che vi lascia parlare, non vi rompe i coglioni, ve la dà ma non subito e non troppo tardi, se la portate a cena vi chiede anche di dividere il conto, e vi convince pure, con l’argomento che le donne e gli uomini sono uguali. E non vi salassa, facendovi sentire allo stesso tempo un signore. Poi, come nello spot della Tre, mentre siete sul punto di baciarla, al tavolo si avvicina un dono della Natura, che vi sorride. E basta. E in un attimo vi porta su un altro pianeta, fatto di sogni, incubi, rincorse e scivoloni, discese ardite e risalite, piacere puro e pene dell’Inferno. In quel momento capite che esiste una vita parallela, che forse non avremo mai la forza o la possibilità di percorrere fino in fondo, per paura, forse, o per inadeguatezza, o forse solo per pazzia. Ecco che allora non abbiamo altra scelta che litigare col cameriere che vi sorride troppo, incazzarci con la signorina perché non ha gli spiccioli per la mancia, sfanculare il parcheggiatore solo perché è abusivo. E andare via. Per distrarci, per dimenticare. Quell’apparizione mistica al tavolo (che per la cronaca nello spot è la modella rumena Madalina Diana Ghenea, di cui prego Admin di pubblicare la foto a corredo del pezzo, in caso di pubblicazione) è per me la Champions League. Da afferrare con incoscienza, senza divagare – per paura – su cazzi del tutto secondari come il mister, il presidente, la squalifica di Cavani, lo squallido punticino da fare. Robetta. Io semplicemente sogno Lavezzi che fa il tunnel a Sergio Ramos e poi, a porta vuota, la butta fuori, perché tanto siamo tre a zero sopra e giochiamo al Santiago Bernabeu. Sogno Morgan De Sanctis che si oppone di culo a tre tiri da distanza ravvicinata di Mario Balotelli, che per la rabbia dà una capata in bocca (al palo). Sogno Maggio che si schianta contro un ragazzino inglese obeso al termine di una cavalcata sulla fascia laterale dell’Old Trafford, conclusa con un cross che Cavani, nel frattempo, ha incasato il pallone all’incrocio dei pali. Sogno Gargano che infila una punizione all’incrocio dei pali della porta del Barcellona, e poi si rivolge a Messi: “O ssai fà, bello?”. E il Nou Camp, invaso dai napoletani, esplode: «Walter, Walter!». Ma dalla panchina, in confusione da orgasmo da trionfo, si alza lui, Mazzarri e ringrazia, in camicia azzurra. Perché lui c’è ancora, anzi, è diventato il nuovo Mourinho da quando in semifinale, al San Paolo, ha sfanculato Alex Ferguson dandogli dell’ubriacone, dopo che i giornali avevano raccontato che il guru britannico s’era fatto mezza Heineken (intesa come della birreria di viale Kennedy) la sera prima. Ma io ho anche sogni-yougurt, che scadono entro pochi giorni. Per esempio, quello di vedere il San Paolo, contro l’Inter, bardato a festa con striscioni e cori per Mazzarri e De Laurentiis, acclamati entrambi e invitati, con forza, a stare insieme, nel nome di un Napoli da Champions. Perché alla fine abbiamo bisogno di entrambi, perché insieme funzionano, perché sono tosti come noi, perché c’è ancora qualcosa che possiamo fare per tenerli con noi.

Luca Maurelli

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