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Io, napolista, allo stadio con moglie bresciana

Lei di Brescia (prima le signore). Io di Napoli (i mariti vengono dopo, si sa). E un Brescia-Napoli in calendario proprio nel ponte di Ognissanti, senza l’assillo di dover rientrare di corsa a Milano.
Quale occasione migliore per mettere a dura prova un matrimonio di due mesi appena? Tra l’altro, la giornata è perfetta per una bella partita di calcio. Pioggia a goccioloni grandi come castagne, vento gelido che scende dalla Val Trompia e ti taglia la faccia, nuvoloni così neri che alle tre di pomeriggio è già buio che pare mezzanotte.  Pranziamo presto, in stile locale, e per non esacerbare gli animi già nel pre-partita, optiamo per un compromesso salomonico: primo piatto brescianissimo, i “casonsei” con burro e salvia, secondo piatto partenopeo, orata con un filo di limone. “Ma il caffè alla fine lo faccio io, ok?”.
Si parte, destinazione Mompiano. Piove che Diolamanda, e all’ingresso ci sequestrano pure l’ombrello. Io taccio, perché la persona deputata a parlare in nome della famiglia è lei, dotata di un accento più aderente al contesto (“parlo io per tutti e due, ok?”). Vabbè, tanto siamo in tribuna, è coperta, le dico nell’orecchio. Azz. Piove talmente in diagonale che al quinto minuto del primo tempo già c’ho gli occhiali completamente coperti di goccioloni, i pantaloni fradici e le mani congelate: si nota subito che non siamo attrezzati per gli stadi del nord, come gli inappuntabili bresciani attorno a noi. La sposa, nonostante sia ben concentrata sulle sorti della sua squadra, viene vinta dai morsi del freddo, e quindi decide di intrufolarsi un po’ più in alto, in un posto riparato, accanto alla tribuna stampa. Io no, resisto: se la bufera non scoraggia Mazzarri, pochi metri sotto di me, io non voglio essere da meno! Insomma, decimo del primo tempo e già separati in casa.
La partita scorre via abbastanza liscia, per quanto il terreno e il vento permettano. Un paio di tentativi di Lavezzi, una zuccata di Caracciolo, qualche mugugno quando Zuniga prende palla sulla destra, ma l’arbitro è duro d’orecchi e fa finta di niente. Intervallo, 0-0, cerco di riavvicinarmi alla moglie salendo verso al tribuna Vip, e quando sono a 3- 4 metri da lei mi imbatto nel Trota. Eccolo, il lanciatissimo figlio del Senatur, l’unico leader (?) politico capace di arringare con egual successo le curve di Brescia, Atalanta, Verona e simili, tifoserie per altri versi poco inclini alla condivisione.
Proprio in quel mentre, telefona un amico da Napoli. “Uè guagliò, ccumm’ staje?” mi fa. In circostanze normali gli avrei risposto a tono, in smaccato dialetto, ma resto ligio alla consegna e farfuglio un rigidissimo “Bene. Abbastanza. Tu?”. Lui capisce al volo e ride: “Ma ch’re, nun può parlà?”. “Non c’è molto campo, qui”, gli dico sottovoce. Sta guardando la partita in Tv nella sua casa del Vomero, dice che sta prendendo freddo solo al pensarci lì, all’addiaccio. E poi aggiunge, da consumato provocatore: “Co’ sta pioggia e co’ sto vento, addo’ o truvamm’ chi la butta dentro?”. Lavezzi. A un quarto d’ora dalla fine, su palla del “bresciano” Hamsik, cambia il volto alla domenica e da il via a una scena tipica degli stadi del nord Italia: insospettabili spettatori di tribuna, fino a quel momento serafici, esultano e si abbracciano, a gruppetti di due o tre, come “funghi”, sparuti ma non spauriti, sotto l’acquazzone.
Io resto di gesso, anzi di ghiaccio, come da consegne familiari. Dalle nostre spalle un signore di mezza età urla a tutta voce “Sara chèla pórta!!!”, che suona più o meno come il nostro “Nzerra chella porta”, evidentemente rivolto ai non irreprensibili difensori delle rondinelle. Io faccio l’estremo sforzo e non esulto, non parlo, non muovo un dito. L’ho promesso a mia moglie! Lei, però, ora che ci penso, non l’ha mai promesso a me…
Prima che me ne renda conto, d’istinto si alza, mi butta le braccia al collo e grida “Gooool” tra lo stupore dei presenti.
Vittorio Eboli

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