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Amo la domenica non alle 12.30

Sono stravolta, completamente stravolta, esattamente come la domenica che ho appena vissuto. Oggi invito a pranzo a casa di mia madre. Chi mi conosce sa che per me la domenica è sacra e non ci si sposta per nulla al mondo, ma la mamma è sempre la mamma e con sta’ storia dell’abbonamento, poi, le occasioni di pranzare insieme nel weekend sono ridotte all’osso, per cui “va bene, veniamo, massimo a mezzogiorno siamo lì”.
Scendo di corsa alle dieci passate con marito e bambini: la prima cosa da fare è andare a recuperare il decoder Premium dai suoceri (ai quali lo abbiamo prestato ad inizio campionato), che mia madre non ha neppure Sky. Mio suocero ce lo fa trovare già imballato: “questo Napoli mi dà troppe emozioni”, dice, “non fa per me, riprendetevi questo aggeggio infernale” (pare che sul 2-2 contro il Bari non si sia sentito troppo bene…). Ancora di corsa verso casa di mia madre, centro storico, traffico, domenica di sole e vento, cumuli di spazzatura a bloccare le strade di questa dannatissima città.
Eppure siamo puntuali come orologi svizzeri ma ci sono problemi con la presa scart, risultato: alle 12,32 il decoder ancora non è installato e la partita ancora non si vede. Cinque minuti dall’inizio della partita e siamo finalmente sintonizzati anche noi.
Ma non c’è la solita atmosfera, nessuna serenità. I bambini devono mangiare: resisto ai tentativi di mia madre di coinvolgermi nel pranzo bambinesco in cucina “io devo vedere la partita” le dico, forse con troppa enfasi, mentre lei mi guarda come se fossi un’extraterrestre, come ha sempre fatto fin da quando, da bambina, le chiedevo di cambiare canale perché dovevo vedere la Domenica Sportiva (“ma da dove sei uscita tu?”, mi ripeteva). Io mi accollo la cotoletta del più grande, in salotto, lei la pasta del piccolo, in cucina, mentre mio marito è seduto sulla sedia a dondolo ed io già lo minaccio che a sera farà mangiare lui tutti e due i bambini (se rinasco voglio essere un uomo, ma questo già lo dissi tempo fa).
Tra un “mangia”, un “pulisciti la bocca” e un “bevi un po’ d’acqua”, la cotoletta per fortuna finisce e posso godermi qualche minuto di partita. Ci mettiamo a tavola anche noi con la ripresa, giusto il tempo per morire di collera per il gol del Cesena. Cerco di annullare voci, pianti e lamenti attorno a me e mi godo il trionfo della squadra, lo vivo, esulto, sorrido per le urla degli abitanti del centro storico sul rigore e sul quarto gol. Mi accorgo che dall’emozione mi si è annozzata in canna la mozzarellina in carrozza. Bevo un po’ di vino per aiutarla ad andare giù e mi adombro al pensiero che queste emozioni allo stadio, in casa, ancora non si sono viste. Un leggero brivido mi percorre la schiena quando penso che probabilmente non si vedranno neppure alla prossima al San Paolo contro la Roma (forse i tifosi allo stadio, come i napoletani tutti, sono davvero troppi da sostenere).
Vabbè, non fa niente, chissenefrega. Marò, che domenica! Che Cavani! Che matador! Sono contenta, ma contenta proprio. Però… cos’è questo peso che ho sullo stomaco, questa sensazione di malessere? Ecco qua: non ho digerito gli spaghetti ai frutti di mare. Mai più, vi prego, una partita a quest’ora, mai più. Non si può vivere una domenica così. Il mio stomaco non regge. Il cuore, però, gode, sì.
<strong>Ilaria Puglia</strong>

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