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La Cassazione: «Così Moggi ha creato un sistema illecito nel calcio italiano, sistema che prende il suo nome»

La Cassazione: «Così Moggi ha creato un sistema illecito nel calcio italiano, sistema che prende il suo nome»

Sono 140 le pagine che racchiudono le motivazioni della Cassazioni per il processo che è passato alla storia col nome di Calciopoli e che ha visto come assoluto protagonista Luciano Moggi. Un processo conclusosi con la prescrizione per la stragrande maggioranza degli imputati incluso l’ex dg della Juventus. Le motivazioni della Suprema Corte, però, non lasciano adito a dubbi circa il ruolo avuto da Moggi in quegli anni nel calcio italiano. “È stato l’ideatore di un sistema illecito di condizionamento delle gare del campionato 2004-2005 (e non solo di esse)”, è scritto. Un sistema che “prende il suo nome”. Ed è questo un passaggio irrilevante ma che è invece molto interessante, a soprattutto livello mediatico. Come un prcesso inizialmente denominato Moggiopoli abbia nel corso del tempo mutato il suo nome in Calciopoli.

Ma torniamo alle motivazioni. Per la Cassazione, Moggi ha commesso sia il reato di associazione per delinquere, sia la frode sportiva “in favore della società di appartenenza (la Juventus)”, e ha altresì ottenuto “vantaggi personali in termini di accrescimento del potere (già di per sé davvero ragguardevole senza alcuna apparente giustificazione)”. Moggi infatti deteneva uno “strapotere esteso anche agli ambienti giornalistici e ai media televisivi”, una “autorità assoluta” che gli garantiva quelle che è stata definita una “irruenta forza di penetrazione anche in ambito federale”. Influente a tal punto che secondo i giudici da una sua opinione in tv “potevano dipendere le sorti di questo o quel giocatore, di questo o quel direttore di gara con tutte le conseguenze che ne potevano derivare per le società calcistiche di volta in volta interessate”. Un’associazione a delinquere “ampiamente strutturata e capillarmente diffusa nel territorio”, di cui erano “pienamente consapevoli i singoli partecipi”, compresi Pairetto e Mazzini, indotti per questo ad “agire in vista del condizionamento degli arbitri attraverso la formazione delle griglie considerate quale primo segmento di una condotta fraudolenta”. 

A Moggi i giudici di Cassazione attribuiscono una «poliedrica capacità di insinuarsi, “sine titulo”, nei gangli vitali dell’organizzazione calcistica ufficiale», dalla Figc all’Aia, e con le sue “incursioni” negli spogliatoi degli arbitri, al termine delle partite, «esercitava un potere di interlocuzione aggressiva e minacciosa». Quello guidato da Moggi era un “mondo sommerso” costituito da “interessi offensivi ultra individuali”. Non mancano i passaggi relativi ai suoi “consigli” all’arbitro Baldas che si occupava della moviola al Processo del Lunedì di Aldo Biscardi per scagionare la direzione di gara di Pieri per Bologna-Juventus.

Sono anche citati i contatti con l’ex arbitro Massimo De Santis, dimostrati dai tabulati telefonici, “in coincidenza con le partite per le quali era stato designato”, il tutto “a riprova degli strettissimi rapporti tra la sudditanza e la complicità intercorrenti tra i due”. 

Luciano Moggi, con le sue “incursioni” negli spogliatoi degli arbitri, al termine delle partite, non solo “non lesinava giudizi aspramente negativi sull’operato dei direttori di gara”, ma esercitava un “potere di interlocuzione aggressiva e minacciosa, frutto soltanto di un esercizio smodato del potere”: vengono definiti “emblematici” gli episodi che riguardarono l’arbitro Paparesta e il guardalinee Farneti. 

C’è un passaggio dedicato anche a Lotito e alle pressioni da lui esercitate “sul mondo arbitrale in un contesto di lotte intestine per la nomina a Presidente della Figc tra l’uscente Franco Carraro e l’aspirante emergente Giancarlo Abete” per assicurarsi il “salvataggio” della Lazio dalla retrocessione nel campionato 2004-2005. L‘allora vice della Figc, Innocenzo Mazzini, viene intercettato mentre assicura a Lotito che la sua “mediazione” era riuscita ad assicurare alla Lazio un occhio di favore da parte dei designatori arbitrali Bergamo e Pairetto. “Così come avevano avuto esiti positivi interventi di persone estranee all’ambiente calcistico”, e il riferimento è Cosimo Maria Ferri – oggi sottosegretario alla giustizia – e a Gianfranco Fini. La Cassazione ricorda gli arbitraggi in favore dei biancocelesti in Lazio-Chievo e Lazio-Parma. 

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