Modric: «Il segreto dei croati? Saper soffrire, non arrendersi mai. La guerra ha segnato la mia generazione, mio nonno fu ucciso»
Intervista al Corsera: «Avrei fatto il cameriere se non avessi giocato a calcio. Mourinho fece piangere Ronaldo negli spogliatoi. Allegri somiglia un po' ad Ancelotti»

Mg Milano 17/08/2025 - Coppa Italia / Milan-Bari / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Luka Modric
Modric: «Il segreto dei croati? Saper soffrire, non arrendersi mai. La guerra ha segnato la mia generazione»
Luka Modric intervistato dal Corriere della Sera a firma Aldo Cazzullo e Carlos Passerini.
Lei è uno dei più grandi calciatori in attività, ma sembra una persona normale.
«Appunto. Amo la normalità. La famiglia normale, la vita normale, le piccole cose. Non mi sento unico. Nella mia vita non ho mai pensato, neppure per un secondo, di essere superiore a qualcun altro. Se non avessi fatto il calciatore, mi sarebbe piaciuto fare il cameriere».
Il cameriere?
«Ero bravino. E mi piaceva. Ho studiato all’istituto alberghiero di Borik. Il primo anno facevamo pratica al ristorante Marina di Zara, dove si tenevano i pranzi di nozze. Me la cavavo a servire le bevande; e ai pranzi di nozze croati si beve parecchio. L’unica cosa che non mi piaceva era lavare i piatti».
Suo nonno fu assassinato dai cetnici serbi.
«Non amo parlare di questo. State riaprendo una ferita terribile».
Ci dispiace.
(Luka Modric resta un attimo in silenzio. Poi riprende a raccontare). «Era il dicembre del 1991, avevo sei anni. Una sera il nonno non tornò a casa. Andarono a cercarlo. Gli avevano sparato in un prato ai margini della strada. Aveva sessantasei anni. Non aveva fatto nulla di male a nessuno. Ricordo il funerale. Papà che mi porta davanti alla bara e mi dice: “Figlio mio, da’ un bacio al nonno”. Ancora oggi mi chiedo: come si fa a uccidere un uomo buono, un uomo giusto? Perché?».
Perché lo uccisero?
«Perché era la guerra. Mio padre partì volontario. Noi dovemmo lasciare tutto, da un giorno all’altro. Amici, affetti, cose. Ci rifugiammo prima a Makarska, nel campo profughi dell’orfanotrofio. Poi a Zara».
La Croazia ha meno di quattro milioni di abitanti. Eppure eccelle nello sport, a cominciare dal calcio. In Russia nel 2018 e in Qatar nel 2022 l’italia neppure c’era, voi siete arrivati secondi e terzi. Qual è il segreto?
«La mentalità. Saper soffrire, non arrendersi mai. Ci hanno insegnato che per ottenere qualcosa devi combattere. E poi devi difenderla. Il talento conta, ma non basta. Credo che l’esperienza della guerra abbia inciso, sotto questo aspetto, su tutta la mia generazione».
«La dieta e la preparazione sono cose secondarie. Per restare in alto a lungo serve il cuore. Io agli allenamenti sono felice come quando ero piccolo. Amo la normalità e le piccole cose Non mi sento unico, né superiore a nessuno. I tatuaggi? Non mi piaccioni A volte stanno bene, ma sulla pelle degli altri. Sulla mia, no».
Che rapporto ha con Allegri?
«Finché non esce dalla stanza non posso dirvi niente! A parte gli scherzi, ha una personalità incredibile. Somiglia un po’ ad Ancelotti: sensibile, divertente, ama fare scherzi. Ma sul campo, come tecnico, è un grandissimo. Sa di calcio come pochi. Non lo conoscevo così bene, ma sono felice che oggi sia il mio allenatore».
Appunto, Ancelotti?
«Carlo è il numero uno. Difficile trovare parole. Per il suo modo di essere, non solo per le sue qualità in panchina. Abbiamo parlato tante volte di Milano e del Milan, quando eravamo a Madrid. Anche per lui questo posto era unico. Ricordo quando lo conobbi. Io ero solo in città. Lui mi telefonò e mi disse: “Su, vieni a cena con me”. Parlammo per ore, di tutto. Di calcio, della famiglia, della vita. Di solito gli allenatori non danno confidenza ai giocatori. Lui sì».
Mourinho?
«Speciale. Come tecnico e come persona. Fu lui a volermi al Real Madrid, senza Mourinho non sarei mai arrivato. Mi spiace averlo avuto una sola stagione».
Il più duro dei tre?
«Mourinho. L’ho visto fare piangere negli spogliatoi Cristiano Ronaldo, uno che in campo dà tutto, perché per una volta non aveva rincorso il terzino avversario. Mourinho è molto diretto con i giocatori, ma è onesto. Trattava Sergio Ramos e l’ultimo arrivato allo stesso modo: se doveva dirti una cosa, te la diceva. Anche Max è così: ti dice in faccia quello che va e quello che non va. L’onestà è fondamentale».











