Da «amma faticà, amma faticà cchiù assaje» a «c’amma assettato»

Il pallone che non entra e - peggio - i corpi che non reggono. Siamo solo a ottobre, Conte parla di mentalità ma il rischio è di non avere gli uomini a disposizione prima ancora che si possa forgiare

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Mg Torino 18/10/2025 - campionato di calcio serie A / Torino-Napoli / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Duvan Zapata

Torino-Napoli. Da “Amma faticà, amma faticà cchiù assaje” a “C’hamma assettato”.
Gli slogan come boomerang o come post-it da appendere sui davanzali degli spogliatoi, in trasferta come a Castel Volturno. Dov’è finita la fame? In una sera d’autunno, nel grigiore di un sabato torinese, il Napoli ha smarrito una parte della propria anima. O forse si è semplicemente consegnato alla comoda narrazione “nordica” dei troppi impegni che tolgono energie e gambe.

Il Torino vince con un rimpallo: lo sfortunato Gilmour serve involontariamente l’assist al Cholito, che fa il suo mestiere — e lo fa egregiamente. Da vero attaccante. Sdraia una saracinesca di oltre due metri come fosse un lillipuziano, e piange poi lacrime di rimorso che oscurano ancor di più l’ombroso Lucca. Il Napoli domina nelle statistiche, ma è solo fumo. De Bruyne dondola e spiega, ma i compagni non hanno il master per seguirlo. Il Napoli di Conte sembra prigioniero del proprio copione: tanta corsa, tanto possesso, poca vita. È una squadra che parla la lingua del comando, ma che non sa più convincere; accarezza il pallone come se temesse di perderlo, ma non lo ama abbastanza da trasformarlo in ferita.

Torino-Napoli, l’assenza di lucidità sotto porta

L’assenza di lucidità sotto porta, la fragilità difensiva nelle transizioni, il nervosismo che si insinua nel finale: tutto racconta di una squadra che ha smarrito la leggerezza dei tempi felici. Eppure, il solito episodio scaccia-guai era arrivato con Lang nel finale, ma l’evidente fuorigioco gli consegna soltanto un inutile cartellino giallo per la troppa esultanza.

Spinazzola si carica la squadra sulle spalle — non solo metaforicamente. Kevin ed Elmas graziano Israel da pochi metri. Il Torino concede corner a ripetizione, che il Napoli vanifica accuratamente eseguendo timorosi schemi che rimbalzano sullo stomaco e sulle teste, episodicamente. Ma oltre al pallone che non entra, c’è un altro problema, più profondo e più preoccupante: i corpi che non reggono.
Il forfait all’ultimo di Højlund, per l’ennesimo affaticamento muscolare, va a riempire una casella già traboccante di defezioni. Eppure siamo solo a ottobre. È un segnale che non si può più ignorare. Le assenze iniziano a disegnare un quadro inquietante, quasi sistemico: preparazione sbagliata? Sovraccarico di lavoro? O semplicemente una gestione fisica non calibrata sul calendario infernale di una stagione che non concede tregua?

Conte parla di intensità, di mentalità, di “uomini veri”, ma qui si rischia di restare senza uomini prima ancora di forgiare la mentalità. Il Napoli, svuotato fisicamente, sembra correre in salita anche quando il campo è piano.

E la difesa, senza Rrahmani e Buongiorno, perde più che due pedine: perde struttura, gerarchia, comunicazione.
Senza di loro, la linea arretrata somiglia a un esperimento: tanta buona volontà, poca sincronizzazione. L’uscita palla è faticosa, la copertura preventiva quasi assente, le diagonali spesso in ritardo di un battito.
Rrahmani dava ordine, Buongiorno dava coraggio. Senza entrambi, resta un reparto che galleggia nell’incertezza e che vive con la paura costante del contropiede.

La seconda sconfitta consecutiva, contro un Torino mediocre ma meritevole, lascia perplessi almeno sulla scelta di investire su una punta — che, con il rientro di Lukaku, diventa la terza — che non vale chi ci ha castigati ieri sera. Simeone ha regalato nove punti a Baroni.

Il Napoli cambia troppo spesso faccia, abito e spazi: più che un anno di consolidamento, sembra l’ennesimo passo di transizione. E il paradosso è che mentre la squadra cerca identità, perde pezzi.
Forse non basta “faticare di più”: serve capire perché si fatica così male.

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