Cairo, i vent’anni di presidenza del Torino: Corsera e Gazzetta lo trasformano in un eroe baluardo della legalità
I due quotidiani costretti alle celebrazioni del padrone, all'insegna del “non c'erano i palloni, a parole i tifosi sono tutti bravi, siamo andati quattro volte in Serie B ma mai per truffa”. Poveri giornalisti, ci sarà stata la corsa alle ferie

Db Torino 20/05/2022 - campionato di calcio serie A / Torino-Roma / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Urbano Cairo
Cairo, i vent’anni di presidenza del Torino: al Corsera e alla Gazzetta si arrampicano come nemmeno Messner
Il 2 settembre è un giorno tosto in Rcs. C’è chi si mette in ferie con mesi di anticipo. C’è una corsa a non essere in redazione nella settimana precedente. Il pacchetto ferie 25 agosto-3 settembre è il più ambito tra i giornalisti. Bisogna far scavallare la data fatidica: il 2 settembre giorno in cui Cairo ha acquistato il Torino. Va celebrato. Il signore firma le buste paga di tutti i giornalisti di Gazzetta e Corsera.
Il Corriere della Sera si affida ad Aldo Grasso, firma nobilissima, tifosissimo granata, che con sprezzo del pericolo non nega la realtà (i tifosi granata detestano Cairo, più che comprensibilmente peraltro ma questo lui ovviamente lo omette). Non può far altro che recitare il copione del “dov’era il Torino prima che arrivasse lui?”. È un po’ l’equivalente del “quando sono arrivato, non c’erano i palloni” di De Laurentiis. Con la differenza che dopo sette anni di presidenza De Laurentiis, il Napoli era già in Champions. Dopo ventuno, ha vinto due scudetti. Lasciamo stare, il solo accostare i due presidenti suona offensivo per i poveri tifosi granata.
Grasso ci mette tutto il mestiere che può, bisogna ammetterlo
Attacca così:
Oggi è un ventennio esatto da quando Urbano Cairo è diventato presidente del Torino, il più longevo della storia granata. Lo so che cammino sui carboni ardenti a parlare di celebrazione: una parte della tifoseria è molto scontenta perché la squadra non riesce a raggiungere quei risultati che tutti noi, presidente compreso, vorremmo che raggiungesse. Quando il tifoso è deluso urla, impreca, insulta ma soprattutto diventa allenatore, direttore sportivo, presidente… Se fosse per lui basterebbe poco, non dico per vincere lo scudetto ma almeno per andare in Europa: il tifoso sa sempre cosa fare. Gestire una squadra di calcio non è semplice e noi tifosi del Toro, non dimentichiamolo, siamo riusciti a prendercela un po’ vilmente persino con Orfeo Pianelli, il presidente dell’ultimo scudetto.
Ricorda le mille traversie giudiziarie, cita Borsano, Goveani, Calleri, Vidulich. Rivendica che sì con Cairo il Torino è sceso quattro volte in Serie B ma mai per truffa! Sommessamente, vorremmo dire che con Borsano il Torino arrivò in finale di Coppa Uefa con l’Ajax: una pagina memorabile della storia granata. Ma vabbè.
E conclude:
Da tifoso mi dico spesso che non c’è squadra come il Toro che possieda un così alto patrimonio di sentimenti e un passato da leggenda (gli invincibili, Meroni, Ferrini…), anche se a volte è un peso difficile da sopportare: il mito del Grande Torino è irraggiungibile e la città ha anche un’altra squadra.
Cairo ha salvato il Toro, ha investito nel Toro, crede nel Toro. Se c’è qualcuno che pensa di poter fare meglio si faccia avanti. Questo è un Paese in cui tutti vogliono un posto da timoniere, ma nessuno poi ha la minima intenzione di far viaggiare la barca.
In tutta onestà, meriterebbe un premio. Non era semplice. Certo sarebbe interessante ascoltare i suoi reali pensieri da tifoso. Ma abbiamo la presunzione di pensare di poterli immaginare.
Cairo ovviamente incensato dalla Gazzetta, lo accostano a De Laurentiis
Alla Gazzetta la buttano quasi sul melodramma:
Quando Urbano Cairo salvò il Torino, vent’anni fa, il Filadelfia era ridotto in macerie. Dello stadio che aveva accompagnato i trionfi di una tra le squadre più grandi della storia, e che poi era diventato la culla di tanti giovani talenti granata, non era rimasto praticamente nulla. I vecchi tifosi andavano là in pellegrinaggio, sospiravano di malinconia o s’infuriavano: possibile che la leggenda fosse stata calpestata così? Raccontavano di Valentino Mazzola, alcuni, di quando si tirava su le maniche e allora non ce n’era per nessuno, oppure di Pulici e Graziani, i gemelli del gol dello scudetto del ‘76; altri, meno poetici o forse solo più giovani, ricordavano le pizzette che Bobo Vieri ragazzino divorava nel baretto davanti al Fila, una dopo l’altra, alla fine dell’allenamento con la Primavera.
E ancora:
Anche il Toro era ridotto in macerie, vent’anni fa. Si parlava di pubblici ministeri e non di gol, di falsi in bilancio e non di falsi nueve, cioè centravanti. La gestione Cimminelli aveva portato il club al collasso a conclusione di un lungo periodo sofferto, con presidenti finiti nel mirino della giustizia, incertezze sul presente e sul futuro della società, ansie e umiliazioni. E qualcuno, dopo il fallimento del Toro, aveva il progetto di una sola squadra in città. Cairo divenne presidente il 2 settembre del 2005, c’era una rosa sparuta con nove giocatori e cinque ragazzi della Primavera, l’allenatore era Stringara (il primo scelto dal nuovo proprietario sarebbe poi stato De Biasi) e non c’era traccia neppure di palloni e magliette (a ridaglie, ndr). Quando lo prese, il Torino stava per affrontare il settimo campionato di Serie B di quei dieci anni. Era, insomma, nel periodo più nero della sua storia.
E via seguendo questo spartito.
Con l’azzardo di un accostamento con De Laurentiis (e Lotito):
De Laurentiis e Lotito, hanno preso in mano Napoli e Lazio un anno prima rispetto a Cairo, nel 2004, e anche loro sono riusciti a rimediare a situazioni societarie ai confini del disastro. Proprietari italiani che hanno tracciato una strada virtuosa proprio mentre i club in mani straniere, tra fondi di investimento e simili, diventano la maggioranza, undici contro nove. Capita che ci siano spesso contestazioni, ma succede un po’ dappertutto, anche dopo uno scudetto vinto, forse perché si hanno pretese superiori a quelle che possono permettere i fatturati (determinati ormai soprattutto dai diritti televisivi), però sono tanti – anche se magari silenziosi – quelli che comprendono e apprezzano gestioni attente, sicure, proiettate a proteggere il futuro.
Riproponiamo qui il nostro pezzo di solidarietà nei confronti degli amici granata: Tifare il Torino di Cairo è un po’ come vivere nei paesi comunisti: non c’è futuro