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Pagliuca: «Donnarumma o Meret in Nazionale? Gigio. Ha commesso un solo errore: lasciare il Milan» 

Ad Avvenire: «Maradona faceva paura solo a vederlo a venti metri dalla porta, ma la mia vera bestia nera è stato Batistuta. Mi ha segnato 12 gol».

Pagliuca: «Donnarumma o Meret in Nazionale? Gigio. Ha commesso un solo errore: lasciare il Milan» 

Avvenire intervista Gianluca Pagliuca. Nella sua autobiografia, “Volare libero”, scritta con Federico Calabrese, fa un bilancio della sua vita, riconosce di aver fatto un bel percorso, dentro e fuori dai pali. E ricorda quando ha sfiorato
la vittoria del Mondiale a Usa ’94 (Italia-Brasile finale di Pasadena persa ai rigori) e la Coppa dei Campioni 1992, sfumata con la Sampdoria contro il Barcellona per la punizione bomba di Koeman.

«Ma nel corso di vent’anni esatti di professionismo due sconfitte del genere stanno nel conto. Con il tempo le apprezzi anche, perché comunque sei arrivato fino in fondo a competizioni di massimo prestigio e quindi anche l’argento mondiale e europeo te lo metti al petto come le altre medaglie da 1° posto».

Nell’estate del 1984, il passaggio alla Samp, quella che definisce «la mia seconda famiglia». Lì, dice, credevano nelle sue qualità, gli facevano sentire la loro fiducia. Andava ad allenarsi felice. Era la Samp di Roberto Mancini e Gianluca Vialli.

Su Boskov:

«Boskov è una leggenda, con tutti gli aneddoti che conservo nella memoria potrei scrivere un secondo libro. La
formazione la facevano Vialli e Mancini? Ma quando mai, decideva sempre tutto lui. Il mister al massimo ascoltava i pareri di ognuno di noi, era particolarmente attento al pensiero dei più anziani, come Cerezo, Dossena… e spesso si accaniva con le critiche rivolte sempre a noi giovani, tipo il sottoscritto, il mio grande amico Lanna o Lombardo… Ma quella era una strategia di Boskov per lanciare dei messaggi precisi a Mancini e Vialli e a tutta la squadra perché fosse sempre più unita e responsabilizzata».

Nella sua autobiografia Pagliuca racconta di scontri forti agli inizi con lo “zar” Pietro Vierchowod.

«Tutte cose che cominciavano e finivano in campo. Dopo lo screzio con la Lazio, il giorno dopo andammo a mangiare assieme al ristorante. Oggi con Pietro siamo più amici di quando giocavamo e questo spirito leggero e fraterno della Samp posso assicurare che non si interromperà mai. È una bella pagina da calcio di poesia. Oggi sembra più grigio e peggiore rispetto a quella mitica Serie A degli anni ’80-’90. Era tutto più bello, ma forse perché tutti noi eravamo giovani. Di sicuro era un calcio più umano, a cominciare dal rapporto con i tifosi e la città in cui giocavi. C’era un attaccamento vero alla maglia. Io quando sono passato all’Inter non volevo andarci, sono stato costretto…».

Era l’estate del ’94, quella dei Mondiali americani quando passò all’Inter, una svolta importante nella sua carriera.

Pagliuca su Marcello Lippi, che vinse il Mondiale da ct, nel 2006, ai rigori contro la Francia.

«Il Mondiale lo avrebbe meritato di vincere anche Arrigo Sacchi nel ’94 con noi, perché credo che sia stato un
allenatore rivoluzionario. Lippi quando arrivò all’Inter sapevo già che il mio destino era segnato e infatti ero il primo della lista alla voce cessioni. C’era un’antipatia reciproca che è rimasta, ma del resto è riuscito a rendersi antipatico anche a uno come Roberto Baggio che prima di essere un campione con la “C” maiuscola è il ragazzo più umile e disponibile che conosco. Lippi non poteva aver dimenticato quello che avevo detto e fatto dopo Juventus-Inter…».

26 aprile 1998, la partita dello “scudetto strappato” dalla maglia dell’Inter di Gigi Simoni, per la svista clamorosa dell’arbitro Ceccherini di Livorno.

«Quello scudetto, in primis sarebbe stato il giusto tributo alla carriera di un uomo puro e leale come Gigi Simoni.
Quanto a Ceccarini che cosa posso ribattere? Che ha perso l’ennesima occasione per tacere, il silenzio a volte è
davvero d’oro. Sere fa ho visto il documentario sul gol annullato al romanista Turone (Juve-Roma del 1981)… beh assieme al nostro rigore negato a Ronaldo, per il placcaggio di Iuliano in piena area di rigore, sono due episodi che vanno archiviati come i più grossi scandali arbitrali, acclarati, del secolo scorso… Ceccarini si è permesso di dire «che tanto noi lo scudetto quell’anno lo avevamo perso non vincendo le partite in casa». Ma questi sono commenti che non spettano a un arbitro, ma semmai a un tecnico o al limite a un tifoso… Chiudiamola una volta per tutte, certo un esame di coscienza diverso a distanza di tanti anni me l’aspettavo un po’ da tutti, juventini compresi».

Tra Gigio Donnarumma e Alex Meret chi sceglie Pagliuca come titolare azzurro?

«Gigio, il quale forse ha commesso un solo vero errore fino ad oggi: lasciare il Milan. Anche se capisco che la tentazione di andare al Psg per giocare con dei mostri come Mbappè, Neymar e Messi è stata più forte di ogni altro
ragionamento, soldi compresi».

Chi è stata la “bestia nera” di Pagliuca?

«Potrei dire Maradona che con Ronaldo il Fenomeno e Messi ritengo siano i tre più grandi giocatori di sempre. Diego faceva paura solo a vederlo già a venti metri dalla porta, perché qualcosa prima o poi si inventava, ma la mia vera bestia nera è stato un altro argentino, Gabriel Batistuta. Mi pare che nei nostri scontri diretti mi abbia segnato 12 gol. Praticamente si è fatto una stagione da bomber in doppia cifra solo con me. Però posso anche vantare di essere stato la bestia nera dal dischetto di Totti, Del Piero e Roby Baggio ai quali ho parato i rigori».

Cosa cambierebbe del calcio “meno libero” di oggi?

«Il Var, perché non mi piace l’utilizzo che se ne fa. Ha permesso ai simulatori di approfittarsi ancora di più: al minimo contatto in area sceneggiano e la tecnologia ci casca o vuole cascarci, più degli arbitri. Andrebbe rivisto l’uso dello strumento, io lo adotterei solo per situazioni estreme e clamorose… Tipo? Beh quel rigore di Ronaldo in Juve-Inter, anche se non è detto poi che dalla stanza del Var poi decidono in maniera del tutto imparziale…». 

 

 

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