La verità sulle tasse
che Maradona deve pagare

Dopo aver pubblicato il libro “L’Oro del Pibe”, ESI editore, scritto a quattro mani col giornalista Luca Maurelli, credevo di aver detto veramente tutto sulla questione “Maradona e le tasse italiane”. Non pretendo l’esclusiva sull’argomento, ma sento e leggo troppe inesattezze. Devo precisare. Innanzitutto non c’è alcun pericolo di arresto. Se Diego viene in Italia, […]

Dopo aver pubblicato il libro “L’Oro del Pibe”, ESI editore, scritto a quattro mani col giornalista Luca Maurelli, credevo di aver detto veramente tutto sulla questione “Maradona e le tasse italiane”. Non pretendo l’esclusiva sull’argomento, ma sento e leggo troppe inesattezze. Devo precisare. Innanzitutto non c’è alcun pericolo di arresto. Se Diego viene in Italia, ad allenare il Napoli o a fare il turista, rischia soltanto (si fa per dire) che Equitalia tenti di pignorargli compensi, soldi, gioielli. Oppure gli orecchini, come peraltro è già accaduto.
Per quanto riguarda l’“evasione fiscale”, bisogna chiarire che l’espressione è molto, troppo generica. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e, quindi, Maradona deve pagare circa 37 milioni e 250 mila euro comprensivi degli interessi fino ad oggi maturati. Ma tutto il contenzioso era incentrato sulle notifiche degli atti al Pibe de Oro. La Cassazione le ha ritenute valide e, di conseguenza, la “maxi multa” (come ormai viene chiamata) deve essere pagata. Se questo significa “evasione fiscale”, Maradona è un evasore.
Nel merito della pretesa, però, non si è mai entrati. Nemmeno è il caso di farlo adesso, ragioni di spazio e sintesi non lo consentono. Vale la pena sottolineare  che il Calcio Napoli (intendo la società fallita, non quella di Aurelio De Laurentiis) si vide muovere le stesse accuse rivolte a Diego ma, attenzione, riuscì a difendersi. E vinse il ricorso. Certo, la sentenza non è definitiva perché si attende ancora la decisione della commissione tributaria centrale alla quale, senz’altro, seguirà quella della Cassazione. Al momento, però, il debito fiscale per il fallito Calcio Napoli non c’è.  Altro particolare: Maradona è stato recordman anche per i tempi. In quattro anni è arrivato alla sentenza della Suprema Corte, il suo datore di lavoro dell’epoca ce ne impiegherà almeno venticinque, di anni.
Senza scendere nei dettagli tecnici  che – ormai mi sono rassegnato – non appassionano i lettori, mi limito ad alcune considerazioni. Le norme condannano Diego perché le notifiche sono state considerate valide, anche se effettuate a un Maradona “irreperibile”. Da un punto di vista pratico, concreto, però, se il datore di lavoro è “innocente”, come può essere “colpevole” il suo dipendente? Il comportamento di chi paga è corretto, quello di chi riceve i soldi è sbagliato? Purtroppo tutto questo è possibile. Diego avrebbe dovuto protestare contro il primo atto, quello del 1991, non contro la cartella di Equitalia del gennaio 2001. Non l’ha materialmente ricevuto, l’atto del 1991? Non importa, affermano e ribadiscono i giudici. Maradona era irreperibile, il notificatore  non poteva fare diversamente. Diego Armando deve pagare. Il datore di lavoro, il Calcio Napoli, è stato assolto? Non significa nulla, sono processi separati. E’ il diritto. La forma, le procedure, diventano sostanziali e imprescindibili. Maradona è sloggiato, sconosciuto, irreperibile ed evasore.
Come risolvere il problema? Risposta complessa. Mi ero permesso di elaborare una proposta di legge sull’articolo 64 del dpr 600/1973. Riguarderebbe tutti i contribuenti italiani ma, inevitabilmente, verrebbe bollata come “legge ad campionem”.
<strong>Giuseppe Pedersoli</strong>

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