Galliani: «Col fair play finanziario scomparirà la classe media del calcio: ci saranno ricchissimi e poveri»
Al Corriere della Sera. «È ciò che sta accadendo anche nella società. Da ragazzino, poiché ero scarso, dicevo che da grande volevo fare il presidente del Monza»

Db Monza 23/10/2021 - campionato di calcio serie B / Monza-Cittadella / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Adriano Galliani
Di certo non sono bastate tre sconfitte in tre partite perché Adriano Galliani smarrisse l’entusiasmo, a ridosso dei 110 anni di storia del Monza «di cui 70 – dice il Condor – posso dire di averli vissuti in prima persona in vesti differenti». La sua – racconta è la storia di «un paesanello che si occupava di una piccola società, poi si trasferisce nella grande città dove ottiene successi e alla fine torna nel paesello natio». Lo svela al Corriere della Sera. Riportiamo un estratto dell’intervista pubblicata dall’edizione odierna del giornale.
«Mi ricordo quando nel gennaio del 2019 ero in tribuna a Meda per il derby con il Renate. 5 gradi sottozero e una ventina di spettatori allo stadio. Ma io che nutrivo l’ossessione di portare il Monza in A ero consapevole che la strada per arrivarci passasse anche da quei campi di provincia di Lega Pro. Ora affrontare la trasferta a Roma è un motivo di vanto»
Il suo legame col Monza.
«Dovete capire che il legame con questa società ha radici lontane. Ho iniziato a seguire il Monza da bambino quando avevo 5 anni: mia mamma, Annamaria, mi ha trasmesso la passione. Era parente dell’avvocato Gaetano Ciceri, in quegli anni presidente del club. Lavorava nel suo studio e in un’epoca in cui le donne non si interessavano molto al calcio lei mi portava allo stadio. L’ho persa quando ancora non avevo compiuto 15 anni e lei nemmeno 40. È stato un dolore enorme, condurre il Monza in A è stato personalmente la chiusura di un cerchio. Da ragazzino, poiché ero scarso a giocare a pallone, quando mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande io rispondevo “il presidente del Monza”. Potrei raccontare mille storie sulle trasferte affrontate negli anni Sessanta. Mi ricordo il viaggio per raggiungere Firenze sulla Porrettana per uno spareggio salvezza. Si parte su un bus scalcagnato alle 4 del mattino, arriviamo a Firenze quando la partita è già sul secondo tempo. Finisce 0-0, ci salviamo e ci rimettiamo in moto per essere di nuovo a Monza alle 4 del mattino».
Il Monza può rovinare la sua immagine di dirigente vincente?
«Intanto non sono un manager solo calcistico. Nella mia vita ho fatto l’imprenditore, ho lavorato in Mediaset, in Fininvest. Il calcio è la mia passione».
Con una vittoria del centro destra, accetterebbe il ministero dello Sport?
«No, il Monza è il mio ultimo ballo».
La promozione.
«È l’impresa più grande che abbiamo realizzato, lo ripeto spesso al presidente. Abbiamo preso una società che cinque anni fa era in D e l’abbiamo portata in A. Il Milan, prima del nostro avvento, aveva già vinto due Coppe Campioni. Delle venti squadre di A noi siamo l’unica a parteciparvi per la prima volta».
Gli slogan motivazionali.
«Sì, l’ultimo è: “Abbiamo impiegato 110 anni per andare in serie A, non possiamo impiegare 12 mesi per tornare in serie B”».
Non ha mai voluto Icardi.
«Il grande campione a cui avevamo pensato che, come ha raccontato nei giorni scorsi il presidente, ha declinato l’offerta, è Dybala. Avevo invitato gli agenti a casa mia, ma il giocatore preferiva un club che disputa le coppe».
Il mercato.
«Sì ma rispetto a trent’anni fa il meccanismo di promozioni e retrocessioni fa sballare i conti. Su venti squadre, quattro vanno in Champions accedendo a una grande fetta di risorse (la Uefa mette a disposizione 2 miliardi per 32 club), due in Europa League dove gli introiti sono inferiori, una in Conference, dieci si salvano e tre retrocedono. Per evitare di scivolare in B vedendo scomparire il 70% del fatturato si spende più di quello che si potrebbe. E con il fair play finanziario la forbice si allargherà ulteriormente: come sta accadendo nella società, scomparirà la classe media, esisteranno solo i ricchissimi e i poveri».