Soldini: «In mare mi hanno salvato due volte. La regola è: se qualcuno è nei guai bisogna soccorrerlo»

Al CorSera: «E' il mare il vero nemico, non gli uomini. Non sono un padre assente: mantenere una distanza aiuta i figlio a crescere meglio»   

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Sul Corriere della Sera una lunga intervista a Giovanni Soldini. Ha compiuto la prima traversata dell’Atlantico quando aveva 16 anni, oggi ne ha 55, per anni ha navigato in solitaria. Ne parla.

«È una dimensione speciale. Non l’unica. Navigare in solitario significa stabilire una relazione molto intima con la barca. Impari a interpretare ogni movimento, un suono, il più piccolo rumore. Nel frattempo hai a che fare con un aspetto più angosciante perché non c’è nessuno con cui confrontarsi, sia quando accade qualcosa che ti riempie il cuore di gioia e vorresti condividerlo, sia quando sei nei guai e ti domandi: porca malora e adesso come faccio? Pro e contro, sempre. Nella navigazione in equipaggio, quel rapporto particolare che si crea con la barca lo si stabilisce con chi ti accompagna».

Sposato, ha 4 figli. Nonostante sia spesso lontano da casa non si ritiene un padre assente.

«Assente mica tanto. Anche se non sono presente ogni giorno, mi faccio sentire e secondo me in casa lo avvertono. Esistono molti modi per “far parte”. I miei figli ricevono qualcosa in meno rispetto a chi ha un padre da incontrare ogni giorno, ma ricevono anche delle cose in più. Cerco di consegnare molte responsabilità, lascio che affrontino con i loro mezzi ogni esperienza, che imparino dai loro errori. Mi pare che mantenere una distanza, una astensione, talvolta aiuti un figlio a crescere meglio».

Nel 1999 salvò Isabelle Autissier, naufragata nell’oceano Pacifico durante la regata Around Alone. In Francia e in Italia ricevette le massime onorificenze. Dice di non essersi mai sentito un eroe per quel salvataggio.

«Mai, nemmeno un po’. Ai media piacciono questi gesti, spesso vengono esaltati oltre misura. La realtà è diversa, io stesso sono stato salvato due volte da navi che mi hanno raccolto in mezzo all’oceano e a nessuno è venuto in mente di trattare quei comandanti come eroi. C’è una legge in mare, ed è la regola numero uno: se qualcuno è nei guai bisogna soccorrerlo. È un fondamento culturale peraltro, che riguarda ogni marinaio ed è al tempo stesso una legge universale. Persino i pirati, nel ‘500, dopo un arrembaggio, non buttavano in acqua gli equipaggi battuti. Magari li mettevano ai remi visto che stiamo parlando di personaggi un po’ duri. Ma li raccoglievano e li sfamavano. È il mare il vero nemico, non gli uomini. La prima regola da osservare, ieri come oggi, è portare a terra chiunque, in salvo. Un principio che viene messo in scacco dalle società moderne, da coloro che si proclamano paladini della civiltà. Trogloditi. E non parlo di una questione solo italiana, riguarda tutti i Paesi sviluppati, a cominciare dagli Stati Uniti».

 

 

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