«Aggredito dagli ultras del Verona, hanno picchiato anche mio figlio»
Il terribile racconto di Fabrizio Nonis al Corriere Veneto: "15 minuti di terrore, calci e pugni anche contro un bambino piccolo"
Il terribile racconto di Fabrizio Nonis al Corriere Veneto: "15 minuti di terrore, calci e pugni anche contro un bambino piccolo"
Fabrizio Nonis, giornalista e conduttore tv, è stato aggredito insieme al figlio all’uscita dello stadio Bentegodi alla fine del match tra Verona e Inter, venerdì sera. Lui ha riportato la perforazione del timpano. Ha raccontato al Corriere Veneto tutta la vicenda:
“Eravamo a meno di 300 metri dall’auto, quando ho visto che un gruppetto di sei, sette persone, si è staccato dal pubblico del bar e ha cominciato a seguirci. Ma non volevo mettermi a correre, anche se avevo una bruttissima sensazione. A un certo punto hanno cominciato a urlare ‘Ehi, tu, ehi voi. Che ore sono?’. Ci siamo fermati e mio figlio ha risposto: ‘Le undici meno dieci’. Erano a un metro da noi. Un uomo fra i 45 e i 50 anni, con il cappellino dell’Hellas in testa mi ha chiesto ‘Che c.. ci fate qua’. A quel punto ho pensato che forse sarebbe stato meglio rispondere in dialetto, così da far capire che eravamo veneti anche noi e ho risposto che eravamo venuti a vedere la partita. ‘Che squadra tifate?’ mi ha detto l’energumeno. Ho detto che non tifavo per nessuna squadra, ma lui mi ha incalzato e allora ho detto che avevo simpatie per l’Udinese. Non ho fatto in tempo a pronunciare il nome della squadra friulana che mi sono trovato a terra. Quell’uomo mi aveva colpito con un pugno in pieno volto che mi ha fatto perdere l’equilibrio. ’Che cosa fate?’, ha urlato mio figlio. E via una sberla anche a lui, finito a terra come me. Gli altri, tutti con t-shirt o polo o cappellini dell’Hellas si erano messi a cerchio per bloccare le vie di fuga. Noi, cadendo, eravamo in mezzo a due auto parcheggiate. E lì hanno cominciato uno dopo l’altro a darci calci. Ai fianchi, alle gambe, al volto. Le auto un po’ ci proteggevano. Io con le ultime energie che avevo ho urlato: ’Ma che state facendo, siamo veneti anche noi’ per fugare ogni dubbio che appartenessimo alla tifoseria della squadra avversaria. E giù altri calci”.
“Non so come, ma siamo riusciti ad alzarci e infilandoci tra le auto, abbiamo attraversato la strada. E quasi sono stato investito da un’auto di passaggio. Abbiamo raggiunto la nostra automobile e lì è arrivata la seconda dose. Pugni e calci, sberle a mio figlio, a cui hanno schiacciato il volto contro il cofano. Sono stati dieci, quindici minuti di terrore. Poi non ho capito che cosa è successo, un anziano è sceso dal suo appartamento o forse era di passaggio e ha chiesto che cosa stesse accadendo, loro si sono fermati e si sono allontanati un po’. Così abbiamo avuto qualche secondo di libertà, il tempo di entrare in auto, bloccare le porte e partire. Abbiamo fatto qualche centinaio di metri, poi ci siamo fermati e ho chiamato il 118″.