Il giornale on line dedica un lungo tributo al padre (anche) del lupetto della Roma, l’uomo che rivoluzionò il design. Lui, romanista, fu scambiato per una spia della Juve

Le grafiche psichedeliche della Domenica Sprint. Il galletto del Bari. L’uccello dal colletto rosa del Palermo. Il delfino del Pescara. Un’aquila della Lazio. Il logo degli Europei del 1980. Il logo della UEFA, nei primi anni 80. E, soprattutto, il Lupetto della Roma. Li ha disegnati tutti Piero Gratton, che è morto la scorsa settimana a 81 anni.
Gratton è stato il grafico di una generazione di tifosi, del periodo d’oro della Serie A. “E’ riuscito a intrecciarsi nel tessuto stesso del calcio”, come scrive James Horncastle in lungo tributo su The Athletic. Un generatore di icone.
Per 25 anni Gratton è stato il responsabile dei servizi giornalistici del Tg2. E la storia di come un Ferragosto fu prelevato dai Carabinieri mentre era al largo su un pedalò, perché Amintore Fanfani aveva deciso che era tempo che la RAI passasse dalla tv in bianco e nero a quella a colori, raccontata dal figlio Michelangelo, è rappresentativa di un’epoca. Toccava a lui e solo a lui. In due giorni tutti gli elementi visivi dei nuovi tg a colori furono pronti.
Altrettanto: la RAI lo manda in Spagna per una storia, conosce e intervista Santiago Bernabeu e alcuni dei migliori giocatori del Real prossimo avversario della Juve nella Coppa dei Campioni del 1962: Alfredo Di Stefano e Ferenc Puskas. Il giorno dopo sui giornali spagnoli spuntano una serie di articoli che lo accusano di essere spia del club bianconero. A lui, che era un “romanista ossessionato”, dice il figlio.
Negli anni ’70 – scrive Horncastle – la Roma non aveva molti soldi. Il proprietario del club, Gaetano Anzalone, voleva investire nella squadra e renderla più competitiva, ma aveva bisogno di aumentare le entrate. Organizzò una serie di viaggi “d’istruzione” in America per imparare l’arte del merchandising dalle squadre di baseball e NFL. Capì che il logo della Roma non andava bene. Tanto per cominciare, il club non era proprietario del copyright e non poteva usarlo per vendere merce.
Gilberto Viti, storico dirigente della Roma con un talento innato per il marketing, assunse Gratton e lo presentò ad Anzalone. Cominciò così una collaborazione rivoluzionaria. “Anzalone è stato il padre del calcio moderno”, dice Michelangelo Gratton. “Quando iniziarono a commercializzare lo stemma, nel 1978, la Roma era pioniera. La gente pensava di che fossero pazzi, ma la storia dimostra che avevano ragione”. Il Lupetto, il nuovo logo della Roma, nasce così.
Matthew Wolff, celebre designer della Nike, dice che “Gratton era in anticipo sui tempi, per la semplicità del suo lavoro. È quasi come se sapesse che saremmo andati verso un mondo più digitale, in cui la grafica pulita e semplice avrebbe dominato, e l’avatar dei social media sarebbe stato solo di 20 pixel per 20 pixel. Gratton voleva che il logo fosse riconoscibile in fondo ad una strada, dall’altra parte del campo. Deve essere chiaro cosa stai vedendo, quale club stai rappresentando, anche da lontano. La testa del lupo è semplicemente e fottutamente bella, vero?”, dice Wolff.
Gratton disegnò il lupo nero su uno sfondo bianco in modo che si distinguesse in TV e sulla stampa. È stato un precursore: non c’è nulla di materno, invece di allattare Romolo e Remo, l’occhio rosso della lupa e i denti affilati danno l’idea del predatore.
“Mio padre – dice Michelangelo Gratton – ha imposto un nuovo logo ad una città che aveva già una forte identità, aveva già un nome, aveva già un’icona da più di 2000 anni. Ha creato una nuova icona che la città ha imparato ad amare”.