Fuori luogo l’urgente pretesa dello scudetto. Ora il Napoli deve evitare il tracollo

Lasciamo stare le diciotto conclusioni e il rigore fallito contro le rari opportunità del Chievo (però un palo e un gol). La sconfitta del Napoli brucia, obiettivamente inaspettata. Il Chievo, strapazzato dalla Juve quindici giorni prima, ha fatto tesoro del folle debutto contro i bianconeri e al San Paolo ha giostrato con nove uomini dietro […]

Lasciamo stare le diciotto conclusioni e il rigore fallito contro le rari opportunità del Chievo (però un palo e un gol). La sconfitta del Napoli brucia, obiettivamente inaspettata. Il Chievo, strapazzato dalla Juve quindici giorni prima, ha fatto tesoro del folle debutto contro i bianconeri e al San Paolo ha giostrato con nove uomini dietro la palla più un super Bardi tra i pali. Buona notte al secchio.

Contro le difese chiuse il Napoli non ha la qualità, la pazienza, l’organizzazione e gli uomini con cui Juventus e Roma sanno disfarle. Il Napoli non riesce più a imporre il suo gioco perché non ha più gioco. Spente le fasce esterne, confusa la manovra centrale, di nuovo vulnerabile la difesa.

La squadra è in caduta libera. Una deriva più pesante tra l’esordio in Europa League (giovedì contro lo Sparta Praga a Fuorigrotta) e un’eccessiva distanza che dovesse maturare dalle prime posizioni in campionato aprirebbero una crisi devastante.

Si teme uno sfarinamento della squadra. Il sospetto è che ci sia un calo improvviso di entusiasmo. In campo e, forse, in panchina, sembra non ci sia più la partecipazione appassionata che ha segnato il primo anno di Benitez. Se la crisi dovesse farsi più profonda, per questo motivo o per altri, il futuro del Napoli si fa nerissimo.

Un cambio di guida tecnica sarebbe un salto nel buio. Un nuovo allenatore (e chi, poi?) avrebbe difficoltà a gestire una squadra costruita da Benitez non solo tatticamente (4-2-3-1), ma con la partecipazione di giocatori scelti da lui direttamente che da un cambio di panchina accentuerebbero il “distacco” che già si sospetta.

Sognando molto e non considerando la realtà si è continuato a parlare pericolosamente di scudetto. Ventitré anni dopo Maradona e dieci anni dopo il fallimento e i due anni in serie C, si è creata questa urgente pretesa della grande vittoria come non è mai accaduto negli 88 anni di storia del Napoli. Due scudetti vinti e quattro sfiorati non possono dirsi una consuetudine del percorso azzurro e non autorizzano pretese.

Alle spalle delle squadre vincenti ci sono forti realtà economiche cittadine. Dove queste realtà sono esauste (Moratti, Berlusconi), i club sono scaduti. Napoli è agli ultimi posti in tutte le classifiche delle città italiane e ha una squadra da primi posti in campionato, una contraddizione. Ma la squadra non può essere da scudetto perché non ha le risorse economiche adeguate e il peso “politico” necessario. Una città in ginocchio e una squadra in piedi. Questo disequilibrio segna i limiti dell’impresa solitaria del Napoli.

Era in ginocchio anche la città dei sette anni di Maradona, ma ci volle il migliore giocatore del mondo e una formazione di campioni per vincere. Quella condizione molto speciale non è più proponibile e, dopo, è venuto il fallimento.

Il Napoli può rimettersi a galla col ritorno in forma di alcuni protagonisti che stanno avendo un inizio di stagione disastroso e con un opportuno turn-over. Ma il giro-palla deve essere veloce e preciso, gli attacchi non possono essere portati in massa intasando di più gli spazi, i cross devono venire dalla linea di fondo e non dalla trequarti che facilitano le difese, in difesa non deve dormire più nessuno. Sono ricette d’emergenza, ma c’è da riconquistare soprattutto l’entusiasmo in calo, la partecipazione appassionata, la fiducia e la convinzione di non essere la brutta squadra di questo inizio stagione.

MIMMO CARRATELLI

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