La lezione della madre di Ciro rovinata dai cori beceri anti-Roma

Dove c’erano le cheerleaders adesso c’è una mamma, minuta e fortissima, i passi spediti sull’erba, sicura, fiera di sé e del suo bambino. Non ha bisogno di musica per prendersi uno stadio, lo stadio se lo prende con la forza della sua storia tragica e disperata, le sue lacrime quasi mai esibite, la sua dignità […]

Dove c’erano le cheerleaders adesso c’è una mamma, minuta e fortissima, i passi spediti sull’erba, sicura, fiera di sé e del suo bambino. Non ha bisogno di musica per prendersi uno stadio, lo stadio se lo prende con la forza della sua storia tragica e disperata, le sue lacrime quasi mai esibite, la sua dignità così drammatica e vera. Mamma Antonella, la chiama Aurelio De Laurentiis che le cammina accanto, la scorta fin sotto la curva B, con Hamsik dall’altra parte, vanno a deporre dei fiori al posto di Ciro. 

Ci sono anche i fiori del Paok, sarebbe stato bello avere un mazzo di fiori anche dal resto del calcio italiano, o forse no, non siamo ancora pronti per gesti di questo tipo. Poteva farlo la Lega, in Federcalcio hanno altro a cui pensare.

Niente fuochi d’artificio stavolta per presentare il Napoli ai tifosi, stavolta siamo allo stadio per abbracciare lei, mamma Antonella. De Laurentiis tiene il miglior discorso da quando guida il Napoli, sobrio, il tono giusto della voce, le parole esatte. Dice che certe volte l’Italia ci mette in un angolo, più o meno, ricostruisco io liberamente, a memoria, ma che i napoletani non sono secondi a nessuno, se lo vogliono, quando lo vogliono. Fa un discorso in cui parla di unione, “Antonella mamma d’Italia”, dice, ogni tanto arriva un fischio isolato dalla curva A, il resto dello stadio applaude, di quegli applausi densi, che dentro ci senti gli occhi della gente pieni di lacrime. Dice De Laurentiis che la fratellanza italiana (testuale), il calcio e il nome di Ciro possono scrivere una storia nuova, di rigetto della violenza dagli stadi. E promette che se un giorno ne costruirà uno, o se rimetterà a nuovo il San Paolo, un settore sarà per lui, per Ciro. Napoli avrà la curva Esposito.

E poi c’è lei, mamma Antonella. Pronuncia parole dolci con una durezza che sconvolge, la voce mai incrinata, solo una volta dimentica un cognome, perché, dice, sono un poco emozionata. Ciro è sempre con noi, canta la curva B. Cirooo, Cirooo, fa tutto lo stadio con una voce sola. “Ciro vive in ogni tifoso italiano”, sono le parole di mamma Antonella, anche lei attenta a unire, non a seminare rancore, al punto da non pronunziare mai neppure la parola giustizia. Non è uno stadio il luogo in cui pretenderla. Lo stadio è il luogo dell’eleborazione collettiva del lutto e della richiesta di pacificazione, una richiesta enorme, mamma Antonella lo sa, infatti dice: “Siamo un popolo meraviglioso, spero che siamo da esempio in Italia”. E poi ripete: “Di calcio si vive, non si deve morire. Nessuno usi il nome di Ciro per episodi di violenza, chi dovesse farlo lo avrà ucciso un’altra volta”. 

È tutto molto intimo e raccolto fino alla palla al centro, quando la curva A esplode in cori pieni di risentimento antiromanista che macchiano il clima e fanno torto alla richiesta di mamma Antonella. Sono i noti cori da stadio contro Roma, nulla di più truce del solito, nulla di macabro, per fortuna, ma stonano lo stesso, con mamma Antonella lì, con la sua lezione vivente sotto i nostri occhi. Stonano il doppio perché quella curva, più o meno, non farà altro. Poco incitamento, un paio di cori ululati verso De Laurentiis (siamo partenopei, abbiamo un sogno nel cuore, vogliamo il tricolore), ancora dei vaffanculo per la capitale. Chi non salta è giallorosso, si sente, e magari si potesse tornare solo a questi sfottò. 

Va detto che i cori con gli insulti vengono da una porzione limitata delle curve. Poche centinaia di persone della A, ancora meno nella B. Questo è proprio un bel segno, mi dico, mentre noto seduti sulla pista d’atletica, ciascuno su uno sgabellino, degli steward schierati spalle al prato e con lo sguardo rivolto agli stadi: resteranno in servizio così per tutti i 90′ e oltre. Nessun coro che predichi vendetta, anche questo mi consola, se proprio da qualche parte bisogna individuare una luce da cui ricominciare. La luce che ha accesso mamma Antonella.

Nel secondo tempo le curve tacciono, si gioca in un clima di silenzio. E mentre torno a casa, li vedo uscire quei ragazzi, molti sono piccoli, molti sono parecchio piccoli, ancora con i brufoli, e mi ricordo cosa ero io alla loro età, cosa dicevo, cosa credevo di pensare, come giocavo a sentirmi grande, passando accanto a uno che grande era davvero. Mi dico che forse dobbiamo andare a riprenderceli quei ragazzini, guidare la loro rabbia fuori dalle viscere e metterla tra le mani di Antonella, mamma di Ciro, mamma di tutti, che lei di quella rabbia sa che cosa farne.

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