Il genio di Cassano e l’estro di Balotelli per incantare e abbattere il muro inglese

Italia-Inghilterra era, una volta, la madre di tutte le partite. Impiegammo quarant’anni per riuscire a batterli, a Torino nel 1973 e cinque mesi dopo a Wembley, infranto finalmente il tabù. Il calcio era nato in Inghilterra e loro si degnavano poche volte di misurarsi con gli altri. Sembravano imbattibili, autentici mostri per il football latino […]

Italia-Inghilterra era, una volta, la madre di tutte le partite. Impiegammo quarant’anni per riuscire a batterli, a Torino nel 1973 e cinque mesi dopo a Wembley, infranto finalmente il tabù. Il calcio era nato in Inghilterra e loro si degnavano poche volte di misurarsi con gli altri. Sembravano imbattibili, autentici mostri per il football latino che andava a passi di danza con ballerini di grazia, mentre gli inglesi avevano il fisico dei rugbisti, scagliavano il pallone a settanta metri, mettevano in area traversoni micidiali.

Insomma un calcio potente. Poi hanno cominciato a perdere (clamoroso il rovescio mondiale con gli Stati Uniti) e hanno cambiato registro. Meno furenti, meno avventati, meno aggressivi, meno corsa e più tattica, un occhio particolare alla difesa come gli hanno insegnato i tecnici italiani sbarcati in Inghilterra.

Non è più la madre di tutte le partite, li abbiamo scavalcati nel conto dei successi (9 noi, 7 loro, 6 i pareggi), non ci fanno più paura, ma un match secco, come questo quarto di finale europeo a Kiev, mette sempre i brividi e non bisogna sbagliare nulla. Non li incontriamo da dieci anni. L’ultima volta, nell’amichevole di Leeds, Montella gli rifilò due gol. Un’altra epoca. Roy Hogdson ha ereditato la squadra da Capello e perciò la trova ben preparata nella fase difensiva, 4-4-2 solido, molta corsa e niente avventura, Rooney nell’avamposto della sorpresa, attaccante senza un ruolo fisso, sgusciante e imprevedibile, pericolosissimo, in tandem col compagno dello United Wellbeck, gli altri dietro la linea della palla da far correre sugli esterni (Milner più di Theo Walcott e Young).

Prestanza fisica (ma solo in tre superano gli 1,85), però resistenti, e Gerrard uomo-ovunque per difendere e ripartire, il lancio e il cross facili, l’altro mediano Parker più attento alla fase difensiva (forse su Pirlo). Dietro, Terry (1,87) e Lescott (1,88) centrali svettanti da tenere d’occhio sui calcio d’angolo nell’area di Buffon. Vengono avanti gli esterni Glenn Johnson e Ashley Cole. L’Italia può farcela se ha animo, equilibrio, compattezza, nervi saldi (Balotelli). La regia di Pirlo e il genio di Cassano possono far saltare il bunker inglese puntando sulla fisicità e sull’estro improvviso di SuperMario che in Inghilterra gioca e perciò saprà come regolarsi (ma lo conoscono anche loro, sperando che non lo stuzzichino per farlo reagire). Sulle fasce bisogna coprire raddoppiando su Milner (Nocerino e Balzaretti) e su Young (Marchisio e Abate) costringendo però i due inglesi a ripiegare attaccandoli. Ma se Prandelli, come pare, preferirà ancora il deludente Thiago Motta trequartista (o la “piuma” Montolivo) e non Nocerino a rafforzare la mediana (4-3-1-2 anziché 4-4-2) avremo meno forza e contrasto nella zona nevralgica del gioco. Allora, varrebbe la pena puntare sul più esplosivo Diamanti. In difesa Buffon vale Hart. Forse più esperti i quattro della diga inglese rispetto ai nostri, ma De Rossi più indietro rispetto a Pirlo, regista difensivo insomma, dovrebbe assicurare ogni genere di soccorso sia intralciando l’avanzata di Gerrard, sia aiutando Bonucci e Barzagli su Rooney quando il torello dello United gira al largo preparando l’insidia.

Partita aperta? Se l’Italia gioca con intelligenza e reggerà il confronto sul piano fisico può andarle bene. Siamo fatti per stupirvi, ha detto Buffon. Allora, please, stupiteci stasera.
Mimmo Carratelli

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