Sinner, ossia per una volta il mammone non è l’italiano. C’è tanto della famiglia di Alcaraz dietro la rottura con Ferrero

Jannik è come se fosse nato svezzato, è uno dei pochi fuoriclasse in cui la famiglia fa il tifo e basta. Molto distante dal sistema dello spagnolo

Italy's Jannik Sinner (R) poses with his father Hanspeter Sinner, his mother Siglinde Sinner, and brother Marc Sinner after winning the final against USA's Taylor Fritz at the ATP Finals tennis tournament in Turin on November 17, 2024. (Photo by Marco BERTORELLO / AFP)

Sinner, ossia per una volta il mammone non è l’italiano. C’è tanto della famiglia di Alcaraz dietro la rottura con Ferrero

Di mamma Siglinde si ricordano soprattutto la tensione e le facce durante quei tre match-point finiti male nella finale del Roland Garros. Anche la  gioia a Wimbledon, per carità. E poco altro. Pochissimo altro. A Wimbledon, in finale, lei e il marito erano in posti lontani: Siglinde in tribuna, papà Hanspeter nell’angolo del figlio. Jannik se la vede da solo praticamente da sempre. Potremmo dire che è nato svezzato, o che comunque il cordone ombelicale l’ha reciso molto presto. In un’intervista a L’Equipe del marzo 2021, l’allora diciannovenne Jannik raccontò: «Fino all’età di 15-16 anni chiamavo sempre mia madre quando perdevo un match. Non è che piangessi o cose del genere, ma ero dispiaciuto e avevo bisogno di essere confortato. Solo che mia madre lavora nella baita dove mio padre fa il cuoco, e quindi mi rispondeva sempre: “Senti, non ho tempo di parlare, devo lavorare’” Per questo motivo ho dovuto imparare a gestirmi, a conoscermi e a tirarmi fuori da solo dalle situazioni complicate». Un manifesto per debellare i genitori elicottero che in realtà dovrebbero essere definiti genitori curling visto che si affannano con la ramazza a rimuovere sugli ostacoli che si frappongono sulle vite dei figli.

Il risultato di questa educazione è che Sinner è uno dei pochissimi fuoriclasse dello sport contemporaneo che decide in autonomia della propria vita professionale (e quindi economica). Le decisioni più importanti le assume da solo: dalla rottura con Piatti in poi. Non esiste il clan Sinner. O meglio, esiste ma non comprende alcun componente della famiglia. I familiari tifano, e basta.

Al contrario di quel che sta accadendo a Carlos Alcaraz che in questi giorni sta vivendo la tormenta della rottura con Juan Carlo Ferrero coach che lo ha accompagnato dai tempi di “ragazzo prodigio” fino al numero uno del mondo, vincitore a Wimbledon, Roland Garros e Flushing Meadows. La rottura tra Ferrero e Alcaraz somiglia ogni giorno di più a una rottura tra Ferrero e il clan di Carlos che in questo caso corrisponde alla sua famiglia. L’idea che se ne ricava è che il numero uno del mondo, al contrario di Jannik, non sia il solo a decidere della sua vita. Anzi. Non ci spingiamo in considerazioni se lo svezzamento sia avvenuto o meno (Carlos in campo ci va da solo e vince spesso e volentieri), fatto sta che l’impressione è che si sia trattato di una scelta familiare. Non a caso oggi, dopo le interviste di Ferrero a Marca e al Paìs, a rispondere al coach è il papà di Carlitos: «Ognuno la pensi come vuole». Uno dei punti conflittuali riguarda anche il luogo dove allenarsi: Alcaraz e i suoi vogliono che cresca l’accademia di Murcia, che il numero uno al mondo ne faccia il suo quartier generale. È logico, comprensibile, soprattutto dal punto di vista economico. Quel che accadrà nei tornei, a cominciare dallo Slam australiano (ma soprattutto in quelli futuri) ci dirà quanto ci sia stato di Carlos in questo divorzio.

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