Mirko Ferretti: «Segnai a Pizzaballa e gli dissi “Così impari a non farti trovare sulle figurine”»
A La Stampa uno degli ultimi pionieri del calcio italiano: «Il presidente del Canicattì si faceva portare allo stadio con la sedia gestatoria, girava con un pappagallo e passeggiava nel parco con Lucky Luciano»

Sulla Stampa Antonio Barillà ha intervistato Amilcare “Mirko” Ferretti, giovanotto di novant’anni, è uno degli ultimi pionieri del calcio italiano, testimone orgoglioso di un’epoca leggendaria: è stato allenato da Nereo Rocco, ha frequentato la mansarda di Meroni, ha sfidato Sivori e Schiaffino, era in campo con la maglia del Catania la domenica di «Clamoroso al Cibali», poi, da allenatore, ha “battezzato” due grandi 10, Antognoni e Mancini.
Mirko Ferretti, il suo primo ricordo legato al calcio? «Un viaggio estenuante in treno, da piccolo, per raggiungere papà Renato in Sicilia:era stato bandiera del Messina e allenava il Canicattì. Alla stazione vennero a prendermi i carabinieri, mi impaurii invece era per proteggermi: c’erano i banditi lungo la strada che conduceva alla tenuta del Barone La Lomia». Chi era? «Il presidente del club, personaggio originalissimo. Si faceva portare allo stadio con la sedia gestatoria, come il Papa, girava con un pappagallo e diede al suo gatto il titolo di marchese. Un giorno lo vidi passeggiare nel parco con un ospite elegantissimo: scoprii dopo che era Lucky Luciano».
Prima squadra prof il Como…
«E lì ho conosciuto Gigi Meroni, che poi avrei ritrovato al Toro. Andavo a vederlo all’oratorio. Eravamo molto legati, nella mansarda di piazza Vittorio ero di casa: mi rivedo accanto a lui sul Duetto, sento il profumo del filetto che preparava. In campo, però, ogni tanto mi faceva arrabbiare…»
Poi al Toro con Rocco in panchina… «Figura straordinaria, da i mille volti: musone, burbero, certo, epperò benevolo, schietto. Mi voleva bene. Gli avevano suggerito di vendermi perché ero comunista, andavo all’allenamento con l’Unità, ma lui si oppose. E una volta che avevo combinato qualcosa ed ero punito mi perdonò, avendo intuito il pentimento: “Amici come prima, ma portami una bottiglia di Barbera”»
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Lei ha dedicato un libro al Filadelfia…. «I muri trasudavano storia, sentivamo la presenza degli Invincibili. Volevamo vincere per loro e per i tifosi che venivano a trovarci, in mezzo ai quali era bello vivere, magari chiacchierando al bar della famiglia Cavallito, ascoltando i loro problemi aldilà dell’amore per la squadra. Su quel campo ho giocato e guidato anni dopo gli allenamenti, l’emozione non s’è mai affievolita. Gli ultimi gol al Fila li abbiamo fatti io all’Atalanta e Bearzot al Napoli. A Pizzaballa, portiere bergamasco introvabile sull’album Panini, dissi: “Così impari a non farti trovare sulle figurine”».











