Becker: «i tennisti di oggi non sanno nulla di politica né del Paese che rappresentano. Il carcere? In Italia avrei preso una multa»
Bella intervista al Corsera: «In carcere comandano i carcerati non le guardie. Nessuno sa cosa succeda lì dentro. Agassi leggeva il mio servizio? È una balla, è di Las Vegas, gli piacciono le favole»

Former German professional tennis player Boris Becker arrives to a press conference for the launch of a promotional campaign at the Adlon Kempinski Hotel in Berlin, on July 31, 2025. Boris Becker and soccer legend Stefan Effenberg are presenting their new campaign together. The focus is on Becker's baby joy and the explosive chemistry between the two sports legends. (Photo by RALF HIRSCHBERGER / AFP)
Becker: «In carcere comandano i carcerati non le guardie. Nessuno ha idea di cosa succeda lì dentro»
Bellissima intervista del Corriere della Sera a Boris Becker che ha da poco scritto un libro – “Inside” (Mondadori) –, che adesso vive a Milano. L’intervista è a firma Mara Gergolet, Gaia Piccardi.
Boris Becker, cosa resta del detenuto A2923EV?
«Ero sempre io, in realtà. Ci sono diversi lati della mia personalità: alcuni li conoscevo, altri no. E come avrei potuto? Quando perdi tutto ciò che consideriamo importante — la libertà, il denaro, le persone che ami — l’unica cosa che resta è il tuo carattere. Mi ha fatto sopravvivere a quell’inferno. Ora so che puoi gettarmi nella peggiore situazione, e troverò il modo di venirne fuori».
Com’è andato in bancarotta, all’inizio piano e poi all’improvviso, come disse Hemingway?
Becker: «È complicato, ma sono felice di potervi spiegare. Il diritto fallimentare nel Regno Unito è molto diverso da quello tedesco o italiano: qui da voi avrei preso una multa. Dunque, c’è un prestito di una banca inglese nei miei confronti, e in cambio avevo dato in garanzia i miei diritti d’immagine. Quel prestito era inoltre garantito da una finca a Maiorca. Non c’era alcun bisogno che la banca si rivolgesse al tribunale, o mi spingesse verso la bancarotta. Due anni dopo la bancarotta, infatti, ho rimborsato la banca fino all’ultimo centesimo».
Ma tutto è precipitato comunque.
«Quel prestito prevedeva un tasso d’interesse del 25%. Il mio avvocato l’avrebbe dovuto notare — era scritto in grande —, io l’avrei dovuto notare, ma ci si affida agli avvocati per questo, no? Però non cerco scuse. Ho fatto errori. Il fallimento è arrivato come uno shock, mentre ero in macchina: eppure, avevo ancora dei redditi, altre proprietà in Germania, a Londra. Ma il danno ormai era fatto, il brand compromesso, le aziende in ritirata. C’è un altro mito da sfatare: i miei reali guadagni in carriera».
Leggendo il libro, sembra che lei abbia affrontato la prigione come il tennis. Osservava i carcerati come un tempo gli avversari.
«Esatto. La mia forza nel tennis — certo, ero potente — era che giocavo in modo strategico. Non ero il più veloce, non avevo un rovescio eccezionale ma più durava la partita, più entravo nella testa del mio avversario. E un’altra cosa: so leggere l’ambiente. So capire chi sono i duri, in cosa sono forti: metto a fuoco la persona in pochi secondi. E poi mi piacciono gli scacchi e il poker. Ci ho giocato da professionista, a fine carriera. Con queste doti sono nato».
Grande intelligenza, Boris. Ma non era il solo. Sa dove vogliamo arrivare: Andre Agassi leggeva il suo servizio osservando i movimenti della sua bocca…
«Sì, la conosco questa storia. Ma devo dirvi che non è vera. Io adoro Andre, davvero. Ma è nato e cresciuto a Las Vegas, e lì l’immagine è tutto. Ho letto Open, un libro magnifico, ma quel passaggio è, diciamo, in puro stile Vegas. Pensateci, logicamente: quanto è grande un campo da tennis? Come avrebbe potuto vedere la mia lingua a 30 metri di distanza? Ho la bocca grande, ma non vado certo in giro con la lingua di fuori! E poi, fino a un istante prima di colpire la palla, neppure io sapevo dove sarebbe andata. Quindi, spiacente: è una bella favola, simpatica, ma una favola».
Otto mesi in due diverse prigioni inglesi: ha mai avuto paura di morire?
Becker: «Due volte. La seconda alla fine, quando ormai mi ero organizzato bene».
Racconti.
«La mia cella era in fondo a un corridoio. Torno dal refettorio, e c’è una persona nuova nella cella del mio vicino e amico, Ike, un gigante muscoloso che godeva di enorme influenza. Non si fa mai: la tua cella è una zona sicura. Così gli dico: hei cosa fai lì? Si gira, io ho il vassoio del cibo in mano e comincia a urlarmi, a venirmi addosso. Io rispondo a tono. Per fortuna, in 7 o 8 arrivano alle mie spalle, mi proteggono, non vi dico cosa gli fanno. E mi riportano in cella. Arriva anche Ike, lo conosceva da prima, si scusa per lui. Io sono scosso, me la sono vista brutta».
E come finisce?
«Questo tizio a 18 anni aveva ucciso due persone. Tre giorni dopo, viene in lavanderia dove lavora Ike: cade in ginocchio davanti a me, mi chiede scusa, mi bacia la mano. Gli dico: non serve, qui è dura per tutti. Ho capito solo dopo che l’ha fatto per Ike. Io ero parte di un gruppo rispettato. E occorreva ripristinare il rispetto, o il ragazzo lì dentro non avrebbe avuto scampo. Il carcere è un posto duro, pericoloso, che ha regole proprie. Le prigioni sono gestite dai prigionieri, non dalle guardie. Nessuno ha idea di cosa succeda lì dentro…».
È una generazione di giovani che sembra poco curiosa degli altri e del mondo.
«Sono d’accordo. Pretendiamo che questi ragazzi siano maturi, perfetti e invece loro chiedono solo di essere lasciati in pace, con il loro team. Non sanno nulla di politica e, spesso, nemmeno del Paese che rappresentano. Io, al contrario, sono convinto che per avere una lunga carriera si debbano coltivare altri interessi: il tennis, da solo, alla lunga annoia da morire. Quando hai vinto Vienna per la sesta volta, cosa ti cambia la settima? Anche l’entourage di questi ragazzi dovrebbe stimolarli con argomenti che non siano solo dritto e rovescio. Invece, è come se fossero incoraggiati a usare il cervello solo per il tennis: hanno tutto, non devono pensare. E a 30-35 anni, quando non c’è più un coach o il team a risolverti i problemi pratici, non sai nulla del mondo. E ti ritrovi spaesato, fuori dalla bolla».











