Lukaku: «All’inizio a Napoli c’erano tanti dubbi su di me. Il calcio per me è un lavoro»
Al podcast Koolcast Sport: «Pesno sempre a mio nonno, ho i sensi di colpa perché allora non avevo i soldi per salvarlo. L'Anderlecht mi ha salvato la vita. Quando Conte mi ha chiamato non ho esitato un attimo. Vincere a Napoli è magnifico»

Ni Napoli 11/05/2025 - campionato di calcio serie A / Napoli-Genoa / foto Nicola Ianuale/Image Sport nella foto: Romelu Lukaku
Romelu Lukaku ha rilasciato alcune dichiarazioni a Koolcast Sport, podcast belga, parlando tra le altre cose anche del suo rapporto con Conte e del Napoli. A seguire le sue principali parole.
Le parole di Lukaku
«Quando Conte mi ha chiamato per il Napoli non ho esitato un attimo e ho pensato subito che avremmo vinto di nuovo. Non gliel’ho detto sennò mi avrebbe preso per pazzo ma anche all’Inter fu lo stesso. Abbiamo vinto perché abbiamo guardato tutti nella stessa direzione. A Bergamo abbiamo capito che potevamo farcela. Le vittorie che ci hanno reso grandi sono state con Atalanta, Juventus e Fiorentina. Il pari con l’Inter ci stava stretto per quanto prodotto ma ci ha fatto capire che potevamo giocarcela alla pari. Conte, una volta rientrati negli spogliatoi, ci disse di crederci. Tutti i miei compagni sono stati importanti. McTominay, Anguissa, Lobotka, Politano corre per due, poi Neres che è il vero fenomeno della squadra. Ti punta e ti lascia lì. Conte si è adattato a lui. Cominciavamo in un modo e finivamo in un altro, sapevamo sempre cosa fare».
«Vincere a Napoli è stato wow. Una festa lunga quattro giorni. Ho visto fuochi d’artificio, famiglie che si abbracciavano ovunque. Dopo il Cagliari sono rientrato a casa alle quattro di mattina ma ero carico di adrenalina. Ero con mio fratello, ho chiamato mia madre e non riuscivo a dormire. Il giorno dopo abbiamo festeggiato ancora. E così per quattro giorni, non era mai successo nemmeno da giovane. L’inizio invece non è stato facile, c’erano tanti dubbi su di me contando l’età e il costo».
«La Champions sarà una bella vetrina, il Psg è la più forte ma ce la giocheremo. Tutti pensavano che il Barcellona avrebbe battuto l’Inter invece abbiamo visto com’è andata. Bisogna guardare al calcio italiano con rispetto. Solo negli ultimi tre anni l’Inter ha giocato tre finali tra Champions ed Europa League. Anche Roma e Fiorentina hanno disputato diverse finali europee, l’Atalanta ha vinto».
«Cos’è il calcio per me? Un lavoro. Non mi piace molto parlare ma andare in campo e dimostrare. Una volta che finirò di giocare non mi vedrete più, non credo di restare in questo mondo. Sono arrivato dove sono arrivato grazie alla mentalità, ho fatto tante rinunce dando tutto per la mia passione. Aver messo a segno tanti assist in serie A mi ha fatto capire che posso migliorare sempre, in tutto. Non solo uno che fa gol ma che fa anche segnare. Sono stato me stesso negli ultimi due o tre mesi di stagione, arrivare a fine estate non mi ha aiutato».
«La morte di mia nonna ha colpito molto mia mamma e anche me. Piangeva ogni mattina per venti anni. E poi si ammalò anche di diabete. Sono stati gli anni più difficili della mia vita. Mio nonno è stato il mio più grande tifoso sin dal primo momento. Mi scriveva lettere dicendo di non mollare già quando avevo sei anni. Mi colpì molto la sua morte nel 2005. Quando due anni dopo entrai nell’Anderlecht, il club fece di tutto per aiutare la mia famiglia. Penso a quel momento e che se magari il cancro alla prostata che ha portato via mio nonno fosse arrivato due anni dopo, ora sarebbe ancora qui con me grazie agli aiuti dell’Anderlecht. Non avevamo soldi a sufficienza per portarlo in Belgio a curarsi. Avevo 12 anni, dicevano che ero ancora un bambino. Lui era il mio eroe, più di mio padre».
«All’inizio ho anche reagito bene alla sua scomparsa ma dopo ha scatenato la bestia che è in me. Penso sempre a lui, specialmente dopo la nascita del mio primo figlio che sono diventato più emotivo. Solo allora ho capito quanto la perdita mi avesse colpito. E i sensi di colpa sono tanti perché all’epoca non ho potuto salvare la vita a mio nonno. Ogni volta che vinco un trofeo piango ma non è un pianto di gioia ma di dolore perché lui non c’è. L’Anderlecht mi ha salvato la vita, non si tratta solo di amore per quel club. Da lì sono partito e diventato uomo. Tornare lì e lavorare per il settore giovanile a fine carriera? Se penso di poter essere in gamba per aiutarli, lo farò».