Di Canio: «Gli opinionisti di oggi? Un’enfasi incredibile, anche ridicola. Certi commenti mi lasciano perplesso»

A Il Giornale: «Marinai la scuola e passai un mese al cantiere di mio padre. Sento ancora l'emozione di quei momenti, le rosette con la mortadella, l'aranciata frizzante»

Di Canio

archivio Image Sport / Paolo Di Canio / Swindon Town / foto Imago/Image Sport

Il Giornale ha intervistato Paolo Di Canio. Non ha bisogno di molte presentazioni, parla della sua gioventù, della Juve e anche del calcio raccontato in tv. Di seguito alcuni estratti.

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Di Canio: «Juve? Non ci sono più Gianni e Umberto Agnelli»

«Frequentavo il Duca D’Aosta, istituto tecnico industriale. Un giorno, durante un’assemblea, decisi di svignarmela con alcuni amici. Fecero il contrappello: Di Canio? Nessuna risposta. Di Canio? Assente».

Dunque?
«La direzione spedì una lettera a casa, informarono i miei genitori, ero punti con la sospensione di una settimana. Qualche giorno dopo, rientrando nel tardo pomeriggio, trovai mio padre il resto della famiglia in piedi, attorno al tavolo da pranzo. Mio padre, con fermezza, mi domandò: che cosa è questa lettera?».

Punizione, a letto senza cena, niente uscite serali?
«No. Mio padre mi disse di stare tranquillo, attese in silenzio altri due giorni, poi una mattina, all’alba sentii la sua mano sulla spalla, erano le 5: Alzati! disse, vieni al cantiere con me».

«Un mese con le mani bianche e la testa bassa. Ero magro, faticavo davvero, il polso era gonfio, sentivo dolore ma dovevo stare zitto. Aspettavo le undici e mezza come il paradiso, andavo al forno, compravo le rosette, poi la mortadella. Ma il premio vero era la doppia lattina di Fanta. Di quei momenti, di quei panini, di quell’aranciata frizzante, sento ancora l’emozione, il profumo, la luce».

Un carattere ribelle quello di Di Canio:
«No, odio l’indisciplina, sono per il rispetto delle regole, è vero, lo ammetto, sono stato un rompicoglioni ma nessuno ha mai potuto dirmi nulla sulla mia osservanza delle norme».

Beh, qualche arbitro, qualche allenatore…
«Ho discusso, ho reagito, ho avuto diverbi anche accesi con grandi allenatori ma con loro abbiamo poi stretto una amicizia vera».

Con Trapattoni alla Juventus?
«Piccole cose ma la Juventus per me è stata la scuola formativa unica, il senso del dovere e poi la famiglia Agnelli sempre presente».

Nonostante Roberto Baggio, arrivaste settimi:
«Maifredi e Montezemolo volevano un calcio nuovo».

Un po’ come oggi.
«Non ci sono più Gianni e Umberto Agnelli».

Il lavoro di opinionista, il football televisivo. Che roba è diventato?
«Un’enfasi incredibile, anche ridicola, sento cronache di stop monumentali, di cambi di gioco spettacolari, di dribbling fenomenali. Tutta roba invece elementare, basilare per un professionista del calcio. Certi commenti mi lasciano perplesso».

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