Alla Gazzetta: «la sua visione è molto offensiva, vuole una squadra che sappia attaccare, a cui piace essere sfacciata. Come noi»

De La Fuente il ct della Spagna: «Da Mancini a Spalletti l’Italia è diventata più offensiva e coraggiosa». De La Fuente intervistato dalla Gazzetta dello Sport.
E l’Italia?
«Ottimi giocatori e un allenatore eccezionale. L’Italia resta sempre una grande potenza calcistica, pur in un momento storico che io definirei incomprensibile: fuori da due Mondiali e in mezzo la conquista dell’Europeo».
Rispetto a un anno fa abbiamo un nuovo tecnico.
«Il cambio da Mancini a Spalletti dà una connotazione più offensiva alla squadra. Col Napoli Spalletti ha offerto una proposta coraggiosa, basata sul controllo del gioco e sulla versatilità della proposta tattica. Penso che più che il sistema di gioco o la proposta tattica conti l’idea. I primi danno ordine ed equilibrio ma a fare la differenza è la seconda, e mi sembra che Spalletti vada in questa direzione: vuol far passare la sua idea, poi modulo e tattica si adatteranno. E la sua visione è molto offensiva, vuole una squadra che sappia attaccare, a cui piace essere sfacciata e che mantenga l’iniziativa della partita. Un po’ come piace a noi».
Non solo De La Fuente, anche il ct dell’Albania (contento che non ci sia più Mancini)
Sylvio Mendes de Campos Júnior, per tutti Sylvinho, è stato difensore dell’Arsenal e del Barcellona, con cui ha vinto due Champions. Poi al City ha incontrato Roberto Mancini, decisivo per la seconda parte della sua carriera. Sabato, da c.t. dell’Albania affronta l’Italia nella prima partita di Euro2024 degli Azzurri. Il Corriere della Sera lo ha intervistato.
«Al sorteggio ho pensato: “Meno male che non c’è più Roberto in panchina…” (ride). Contro di lui sarebbe stato strano. Per noi sarà comunque durissima: da brasiliano l’Italia mi ha fatto piangere nel 1982 con Paolo Rossi. Ma la amo tanto».
Cosa ha dato e cosa ha ricevuto da Mancini?
«Ho ricevuto tanto, lui è un gestore strepitoso, conosce i calciatori, ha personalità, leadership, tranquillità. Io spero di avergli dato qualcosa».
Guardiola e Rijkaard?
«Pep vede dove non si può vedere, ha un’intelligenza totale: fa un calcio meraviglioso e pochi sottolineano quanto si difendono bene le sue squadre. Frank è più vicino ai calciatori: grazie a questo abbiamo vinto la Champions».
L’Albania non è una Nazionale come le altre: perché?
«Perché in patria ci sono tre milioni di albanesi, che diventano una decina con quelli in giro per il mondo: cercare giocatori è un lavoro durissimo, ma stimolante. Con lo scouting ne abbiamo trovati in Corea, Turchia, Danimarca: guardiamo tanti video e quando è il momento di scegliere voliamo sul posto. Un po’ come fanno i club».
La cultura calcistica italiana è importante per voi?
«Tanto. Io stesso ho fatto un percorso di cinque anni a Coverciano con Ulivieri. E molti giocatori si sono formati da voi, acquisendo competenze tattiche, tecniche e atletiche. E l’Europeo è frutto anche dell’eredità lasciata da Reja e da Panucci come c.t».
Rispetto al 2021 ci sono molto cambiamenti.
«È un processo naturale. Mancano veterani come Bonucci e Chiellini, ma l’Italia ha esperienza, gamba, possesso, senso della competizione. C’è tutto. E in più c’è Barella, che ha fatto una stagione incredibile. Mi aspetto che giochi. Spalletti è uno dei migliori, mi aspetto un’Italia organizzatissima, dura, forte in transizione, che se serve difende in 11 e riparte con 7, molto tosta nell’uno contro uno, con la base dell’Inter che gioca a memoria».