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Bojan: «La mia vita soffocata dall’ansia, una volta ho fermato un aereo in pieno decollo»

L’ex attaccante di Roma e Milan al Mundo: “Il mio corpo non tollerava fama e aspettative, mi sono curato, ho imparato a conviverci”

Bojan: «La mia vita soffocata dall’ansia, una volta ho fermato un aereo in pieno decollo»
Gc Milano 05/05/2013 - campionato di calcio serie A / Milan-Torino / foto Giuseppe Celeste/Image Sport nella foto: Krkic Bojan

Bojan Krkic in Italia ce lo ricordiamo perché passò per la Roma e per il Milan, con l’etichetta di giovane fenomeno made in Barcellona. Ha una storia particolare: la sua carriera e la sua vita sono state in parte regolate dall’ansia patologica. La spiega così: “Un’onda gigante veniva e mi trascinava via. Appariva all’improvviso e mi travolgeva. Non potevo fare nulla, non conoscevo le cause, non la vedevo arrivare ed era incontrollabile. C’erano momenti quando non vedevo via d’uscita. La palla cresceva e cresceva e mi dominava, mi soffocava”. Attualmente coordina l’area calcio del Barcellona, e visto che è diventato molto bravo a parlarne, ha deciso di farlo con un libro, “Controllare l’incontrollabile”. Ne parla, anche, in un’intervista a El Mundo

“A volte sembra che gli atleti siano più forti. È una bugia, siamo fatti della stessa materia di tutti gli altri e talvolta ci rompiamo. Devi normalizzarlo e chiedere aiuto come per qualsiasi infortunio. A me è iniziato presto, a metà della mia prima stagione al Barça, tutto è accaduto troppo in fretta: esordire, segnare gol, essere protagonista in prima squadra, attirare l’attenzione della Nazionale maggiore… Ci si aspettava troppo da me ed ero un bambino. Ora lo abbiamo normalizzato, ma 16 anni fa non era normale per un ragazzo di 17 anni trovarsi in uno scenario così complesso. C’erano troppe emozioni che non rientravano nel normale processo di gestione e maturità di un adolescente”.

“Giocare mi rendeva felice, lo è sempre stato, ma tutto il resto… Quando arrivi al mondo professionistico, giocare è solo una parte. La gente vede che hai qualcosa di diverso in termini di calcio e già dimentica la tua età. Non importa, conta solo quello che fai sul campo. Sei nel pieno del processo formativo come persona e a nessuno importa perché sei giudicato da adulto, questa società dell’immediatezza vuole tutto e lo vuole adesso. Non so se siano state solo le aspettative a causare l’ansia, ma sicuramente hanno avuto un ruolo. Dopo le partite, anche se avessi segnato, mi chiudevo in me stesso e mi isolavo da tutto. Era troppo e troppo veloce”.

“Quattro o cinque mesi dopo l’inizio della stagione iniziarono gli attacchi. Sono sempre stato una persona molto timida, voglio sempre passare inosservato, non mi piace la folla… venivo dalla mia città, da una vita tranquilla con la mia famiglia, e all’improvviso non potevo uscire per strada… È stato un cambiamento molto brutale ed è arrivato un momento in cui non potevo prestarci così tanta attenzione. Per così dire, era stanco di essere Bojan”.

“Quando è apparsa per la prima volta questa ondata di ansia, ho iniziato ad avere paura, perché non sapevo mai quando avrei avuto un altro attacco, quando quella palla che veniva dal nulla e che non potevo controllare mi avrebbe colpito di nuovo. Non volevo fare niente né vedere nessuno. Stare semplicemente a casa, perché lì avevo la tranquillità che, se fosse successo, nessuno l’avrebbe visto”.

E’ per questo che decide di cambiare aria, va al modesto Stoke City. “Nel terminal, in attesa di imbarcarmi sull’aereo per l’Inghilterra, ero triste ma tranquillo. Quando sono salito sull’aereo, qualcosa mi ha invaso completamente e non sono riuscito a resistere. Tutto mi è crollato addosso: ansia, sopraffazione, nervosismo… Quando l’aereo già si muoveva lungo la pista, ho detto all’assistente di volo che dovevano fermarsi, lei mi ha detto che era impossibile, mi sono seduto per terra e ho smesso di avere coscienza di quello che succedeva intorno a me. Ho fermato un aereo sulla pista. È stato un punto di svolta e il mio momento più spiacevole, ma ho avuto attacchi peggiori, solo che non c’era nessuno”.

“Nessuno al di fuori della mia cerchia ristretta lo sapeva. Nel mondo del calcio, mostrare questa debolezza potrebbe essere interpretato male e potrebbe farti del male. Sapevo che per andare avanti dovevo risolverlo da solo”. “Ho lavorato con psicologi e professionisti per tutti questi anni. Ho preso ansiolitici solo quella prima stagione e dopo un attacco specifico, come quello dell’aereo, ma soprattutto ho fatto terapia. Ho avuto uno psicanalista che mi ha aiutato molto nei momenti peggiori”.

Il mio corpo non ha mai tollerato la fama. Nemmeno quelle parti che possono abbagliarti quando sei giovane. Non mi è mai piaciuto essere al centro dell’attenzione un giorno nella mia vita, anche se, con il passare degli anni, ora penso che ci sia qualcosa di bello. Per me è stato un calvario”.

L’ansia non viene mai dominata, ma impari a conviverci. Quando appare l’onda ti spaventi e quella tensione rende l’onda ancora più grande. A poco a poco ho imparato che, anche se l’onda si alza, devi rimanere calmo, capire cosa succederà, ti bagnerà, ma non ti butterà via. Quando raggiungi questo obiettivo, accetta che l’onda sta arrivando e sopravvivrai ad essa, diventerà sempre più piccola. Questo è stato almeno il mio processo”.

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