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Il Napoli di De Laurentiis è rimasto nel Novecento

Dalla squadra in ritiro al presidente transformer. A Napoli viene solo chi non ha niente da perdere come Garcia e Mazzarri

Il Napoli di De Laurentiis è rimasto nel Novecento

Il problema del Napoli di De Laurentiis è essere rimasto ancorato al Novecento

Il problema, chiariamoci, non è neanche l’acquisto di Hamed Junior Traoré. E cioè la noce del problema non risiede nel fatto che il Napoli pare aver virato da Lazar Samardzic – che resta una delle mezzeali più promettenti in Serie A – a un giocatore che è sceso in campo, in questa stagione, per poco più di quaranta minuti e potrebbe essere preso in prestito secco.

E a voler essere pignoli anche altri club dallo status certamente superiore al Napoli hanno vissuto annate complicate dopo uno scudetto vinto, o alla fine di un ciclo.

No, il problema è il modus operandi “novecentesco” che attanaglia il Napoli.

Che senso ha portare, nel 2024, la squadra in ritiro controvoglia, inspessendo il germe già malcelato dell’infelicità nel gruppo? Davvero De Laurentiis, o qualsiasi presunto dirigente con cui si confronta, pensa che questa sia una soluzione?

La cosa preoccupante è che, con ogni probabilità, la risposta all’ultima domanda sia: sì. Non sarebbe strano per un presidente che si sente Re Mida, come ha dimostrato quando alle prime difficoltà del Napoli di Rudi Garcia si è catapultato a Castel Volturno per “supervisionare” gli allenamenti.

De Laurentiis si sta scontrando, dopo venti anni, con la saturazione del suo progetto non tanto tecnico, o sportivo se preferite, quanto aziendale. Il Napoli gestito così, ai vertici del calcio italiano e internazionale, non è più sostenibile.

Negli anni si è parlato spesso dell’assenza di una solida struttura dirigenziale. È quasi sempre stato un tema pigro, che veniva tirato fuori alle prime difficoltà riscontrate però in Napoli eccezionali che erano figli di una visione chiara del mondo.

A Napoli l’unico modello imprenditoriale di successo, in questi venti anni, è stato il Napoli calcio. Non aveva nessun legame con la retorica di cui è schiava la città in cui gioca: era un’entità aliena, in cui i napoletani riponevano sé stessi pur non rispecchiandosi a pieno. Era semplice: una squadra di calcio che funzionava bene.

Stavolta invece il Napoli di De Laurentiis ha finito per accartocciarsi nelle pieghe della sazietà post 4 maggio. Mentre tutti scrivevamo di un club in cui tutti avrebbero voluto lavorare – un modello che coniugava sostenibilità economica e risultati di campo con una continuità spaventosa – l’elefante cominciava a materializzarsi nella stanza: nessun professionista di alto livello, come Spalletti e Giuntoli, è voluto restare un secondo di più.

E non può essere un caso se nessuna delle figure assunte in questi sette mesi per sostituirli appartiene alla categoria, allenatori o direttori sportivi, nel giro dei top club quantomeno italiani. Chi vorrebbe lavorare, oggi, e sopportare la piazza avendo il fiato sul collo di un presidente-tifoso-tecnico-dirigente che non è un uomo di calcio ma ci si sente? Chi sacrificherebbe la propria carriera sull’altare di De Laurentiis?

Chi non ha niente da perdere: ed ecco le assunzioni di Rudi Garcia e Walter Mazzarri.

Beninteso che questa struttura “snella”, con poche figure di competenza per l’area tecnica, è stata sinora vincente. Va ricordato però che non esiste alcun club dell’universo conosciuto che imposta la campagna acquisti e sceglie l’allenatore grazie al solo capo scouting. Il Napoli ha bisogno di competenze: non di slogan à la “ho sbagliato io, me ne assumo le responsabilità, a gennaio rimedieremo” come ha detto De Laurentiis dopo il pareggio con il Monza.

Sui social del Napoli è da quest’estate che padroneggia l’hashtag: #ANew3ra.

È strano che sia stata scelta una locuzione così divergente dai fatti. O forse non lo è affatto: in fondo anche accorgersi di essere ancorati allo scorso millennio sarebbe il primo passo verso la soluzione di problemi ben più profondi del calciomercato.

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