A Libero per i 40 anni anni del record dell’ora: «feci ricredere Merckx. Io portai le prime ruote lenticolari, il cardiofrequenzimetro, i body aerodinamici»

Moser e Saronni, ancora. Francesco Moser intervistato da Libero per i 40 anni del record dell’ora (che poi gli fu revocato).
Lei fu l’astronauta di quel nuovo cielo ciclistico.
«Prima del tentativo messicano tutto era rivolto al passato. Io aprii le porte a una nuova realtà con le prime ruote lenticolari, il cardiofrequenzimetro, gli scarpini attaccati ai pedali, i body aerodinamici».
Eppure, prima di quell’impresa, nessuno credeva in lei, a partire da Eddy Merckx che deteneva il primato, vero?
«Fui molto criticato, Eddy pensava che non si potesse battere il suo record di 49 chilometri con la preparazione che feci io. Diceva che si sarebbe dovuto tentare subito dopo un duro impegno su strada. Si sbagliava. Ma non ho fatto ricredere soltanto lui».
Dopo l’estasi in Messico, non la fermò più nessuno.
«La gente ripeteva: Moser è vecchio, è finito. Invece, con la preparazione del record e a 33 anni, dimostrai il contrario e vinsi la Milano-Sanremo e poi il Giro d’Italia, due corse che mi erano sempre sfuggite».
Dicevano: in gara Moser è troppo generoso, corre e attacca sempre consumando energie preziose. Fosse stato più furbetto avrebbe vinto di più nei suoi 15 anni di corse?
«Io ero un istintivo. Ho vinto 273 gare e non sopportavo gli attendisti, quelli che stavano a ruota e facevano lo scattino finale per fotterti».
Come un certo Giuseppe Saronni?
«Ognuno aveva le sue caratteristiche. Ma Saronni è durato 5 anni al top, io 15».
Vi beccate ancora come ai bei tempi: di recente lei ha detto che non vuol più sentir parlare di Beppe.
«Ma no, ci siamo rivisti da poco, ci parliamo ma saremo per sempre due binari che non si incontrano mai».
Perché vi pizzicate ancora? Avete un età…
«Caratteri diversi. Quando fa battutine e allusioni vuole sminuire certe mie vittorie. Che, in quegli anni, l’hanno parecchio infastidito. Una cosa, una sola ci unirà per sempre: l’Inter».