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Saronni: «Moser vinse Giro, Sanremo e record dell’ora grazie a Conconi e alle sue trasfusioni»

Al CorSera: «Stava per ritirarsi, poi… Bastonava i suoi gregari se non si sfiancavano per lui. Oggi ci sentiamo ma parla sempre lui» 

Saronni: «Moser vinse Giro, Sanremo e record dell’ora grazie a Conconi e alle sue trasfusioni»
French actor Alain Delon encourages Italian Giuseppe Saronni (R) during the 7th stage of the 74th Tour de France cycling race run between Epinal and Troyes, on July 7, 1987. AFP PHOTO (Photo by AFP)

Il Corriere della Sera intervista Giuseppe Saronni. L’interviosta è praticamente incentrata tutta su Francesco Moser suo grande rivale che in un’intervista sempre al Corriere della Sera ha accusato Saronni di essersi sempre sentito superiore a lui perché cittadino. Saronni gli risponde.

«Lui evoca sempre il confronto tra un montanaro trentino con dieci fratelli che zappava la terra e un borghese di Milano. Peccato che io sia cresciuto a Buscate, nella campagna lombarda. Papà Romano era autista di bus di linea, mamma Giuseppina casalinga: eravamo quattro fratelli, si campava con un solo stipendio».

Perché Moser oggi soffre ancora così tanto Saronni?

«Ho sei anni meno di lui, sono arrivato nel professionismo quando Francesco era un Dio acclamato dalle folle e dai giornalisti. Il ciclismo era lui. Ho cominciato a batterlo presto e in più avevo la battuta pronta e la lingua affilata, al contrario di Moser, goffo e lento nell’esprimersi. Nel confronto televisivo perdeva sempre e non gli è mai andato giù. Dovrebbe farsene una ragione».

Moser ha detto di lui al CorSera: «Saronni ha avuto solo tre o quattro anni forti, forse troppo per il suo fisico. Infatti d’un tratto ha smesso. Io nel 1984 a Città del Messico feci il Record dell’Ora e vinsi Milano-Sanremo e Giro d’Italia». Saronni lo corregge:

«A dire il vero io ho vinto venti corse l’anno per sei stagioni di fila, non tre o quattro. E preferirei non parlare della famosa seconda giovinezza di Moser…».

Continua:

«A fine carriera Francesco è stato il primo e in quel momento l’unico a far ricorso a una certa scienza, di cui disponeva in modo esclusivo. La bici con cui ha battuto il Record dell’Ora era un siluro che pochi anni dopo venne vietato perché dava vantaggi enormi. Per tacere del resto».

Saronni si riferisce a pratiche mediche come la trasfusione di sangue che oggi sono doping ma all’epoca erano consentite.

«Sì, lo so. Ma ha sfruttato certe metodologie che il famoso professor Conconi offriva solo a lui: io e gli altri i suoi vantaggi li abbiamo subiti. Nel 1983 quando vinsi il Giro mi disse che era troppo vecchio e si sarebbe ritirato. Poi ha accettato il progetto del Record con innovazioni che non si sono rivelate sempre positive. Sulla base di alcune di quelle innovazioni il ciclismo negli anni successivi ha avuto un sacco di problemi. Ma lui non aveva nulla da perdere e le ha sfruttate quando erano legali».

Potendo, Saronni avrebbe fatto le trasfusioni?

«Non posso rispondere a posteriori. Oggi potrei dire di no, magari allora avrei detto di sì, ma resta il fatto che lui era l’unico a usufruirne. Moser aveva il monopolio, è stato un po’ una cavia».

Saronni rivendica di aver vinto due Giri contro Moser e i suoi tifosi.

«L’ho battuto sia nel 1979 che nel 1983 andando più forte di lui in salita e a cronometro. Ho vinto contro di lui e contro i suoi tifosi che in salita organizzavano catene umane per spingerlo quando arrancava e la notte si mettevano a fare schiamazzi sotto le camere d’albergo dove dormivo per non farmi dormire. Sa cosa mi fa impazzire? Che nemmeno oggi, a 40 anni di distanza, Moser ammetta quanto io venissi molestato dai suoi tifosi e in che modo scorretto lo aiutavano. Ogni volta cambia discorso».

Saronni continua:

«Ci beccavamo su tutto. Moser aveva un carattere impossibile anche con i suoi gregari che ancora adesso sono troppo educati per raccontare quanto venivano sfruttati e bastonati se non si sfiancavano per lui. Ma la gratitudine non è mai stata il suo forte. Le racconto una cosa. Francesco ha vinto il suo mondiale a San Cristobal, in Venezuela, nel 1977. In quella corsa io che ero passato professionista da poco mi sacrificai per lui, come mi aveva chiesto il grande Alfredo Martini che dirigeva la nazionale. Pochi giorni dopo, al Giro del Lazio, eravamo in fuga io, lui e Felice Gimondi. Pensate mi abbia ricambiato il favore? No, pensò solo a vincere».

Ci sarà una qualità che riconosce a Moser.

«Una forza di volontà e una caparbietà mostruose. Io avevo più talento di lui ma vincevo solo quando ero in forma. Lui quando voleva».

Con Moser vi sentite? Saronni:

«Spesso. Parla sempre solo lui, però: quando parte con i suoi discorsi è difficile interromperlo e comunque rischieremmo di litigare. Ci vediamo alle cerimonie e io compro regolarmente il suo vino che è davvero buono. Non guardo mai le fatture, ma non credo mi faccia sconti nemmeno lì».

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