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Il Napoli come “Vacanze di Natale”: De Laurentiis ripete una formula fino allo sfinimento

Nel cinema ha riscosso grandi successi ma non ha saputo strambare quando è arrivata la crisi. Nel calcio rischia di replicare

Il Napoli come “Vacanze di Natale”: De Laurentiis ripete una formula fino allo sfinimento
“Vacanze di Natale”

Il Napoli come “Vacanze di Natale”: De Laurentiis ripete una formula fino allo sfinimento

Arriverà il 2063 e futuroradioso.com – il giornale on line più letto d’Italia – scoverà nell’entroterra georgiano un signore di oltre sessant’anni dal cognome impossibile. Lo ricordate? È il georgiano che, insieme con un nigeriano e un sudcoreano, trascinò il Napoli alla conquista dell’ultimo scudetto della sua storia. Prima che la società si fondesse col Bari e dei conseguenti tumulti del 2028. Nel 2063 temiamo che Kvaratskhelia possa diventare il Jerry Calà dei nostri giorni che rilascia un’intervista ogni dodici ore per raccontare i quarant’anni di “Vacanze di Natale” che sui media italiani sta assumendo la statura e il rilievo cinematografico di “Apocalypse Now” e “Arancia meccanica”. That’s Italy.

A proposito, è interessante notare come nei primi anni Ottanta il cafone era il romano; oggi invece in un ipotetico “Vacanze di Natale” non potrebbe mancare il napoletano di turno con tanto di famiglia al seguito che invece allora De Laurentiis e Vanzina esclusero. La figura di Claudio Amendola sarebbe sostituita da Siani. Certo nessun attore potrebbe raggiungere le vette di Brega e Rossana Di Lorenzo (la Erminia indimenticabile moglie di Sordi ne Il comune senso del pudore) ma tant’è.

“Vacanze di Natale” e l’epopea del cinepanettone spiegano qualcosa di questo Napoli. Raccontano Aurelio De Laurentiis. Presidente dai mille meriti passati che basa molti dei suoi successi sulla formula del remake. Così ha fatto col cinema. Ha ripetuto la formula del cinepanettone fino allo sfinimento, fino a che il fenomeno non si è esaurito e nelle sale non è andato più nessuno. Certo ha spaccato, è impressionante guardare quanti cinepanettoni ci sono nella classifica dei film italiani con più incassi di tutti i tempi. Ma quando è cominciato il declino, una formula alternativa non l’ha trovata.

Il successo reiterato del cinepanettone ci aiuta a comprendere perché, dopo lo scudetto, Adl ha posto la conditio sine qua non del 4-3-3. Nella sua testa, è la formula che funziona, al di là del regista. Se non ci sono i Vanzina, va bene anche Neri Parenti. L’importante è che ci sia il balletto di Christian De Sica. Ha ragionato così.

Va poi aggiunto – restando al solo calcio – che Mazzarri l’altra sera ha fatto un’operazione verità. Ha scoperchiato il pentolone degli scontenti nello spogliatoio del Napoli. Sono tanti, per diversi motivi. C’è chi non gioca (Demme, Elmas, anche Simeone e Raspadori). Chi è in scadenza di contratto (Zielinski e Osimhen su tutti). Chi ha un contratto misero rispetto alle proprie qualità (Kvaratskhelia). Uno stanzone di scontenti non produce nulla di buono. Quattro anni fa, rancori, invidie, gelosie, insoddisfazioni condussero all’ammutinamento. Le squadre di calcio non sono solo calciatori disposti in campo. Sono luoghi di lavoro che vanno seguiti quotidianamente. Ciascuno deve sentirsi un ingranaggio indispensabile. Così si costruiscono i successi. Il Napoli oggi è l’esatto contrario. Con un allenatore – ieri Garcia, oggi Mazzarri – debole, percepito come uno di passaggio. Senza un dirigente realmente di peso. C’è la squadra. E c’è il presidente che lavora a tutto: al mercato, ai rinnovi, con Garcia persino alle sedute di allenamento.

L’impressione è che non ci sia più chi si occupi del Napoli. Chi viva realmente gli umori, i mal di pancia del corpaccione. Nessuno conosce più i significati dei mormorii, dei sussurri e delle grida.

Il vero tema, che la città elude, è se sia cominciato il declino di Aurelio De Laurentiis. Che sta ancora godendo di una sorta di immunità scudetto. Ma il calcio non è il cinema. Lì è molto più semplice: le persone non hanno più voglia di quel prodotto e in sala non ci vanno. Col pallone è diverso. Queste cose, in genere, soprattutto a Napoli, finiscono che da un giorno all’altro cambia tutto e l’imperatore diventa il nemico del popolo. Lo diciamo con dolore. De Laurentiis è stato un grandissimo presidente. In vent’anni, mattone dopo mattone, ha costruito una grande squadra e anche un grande club (sia pure snello). È stato un gigante, ha vinto lo scudetto in contrapposizione col tessuto cittadino, odiato da tutti. Poi, per motivi oscuri, nel momento del successo, si è intestato la tessera numero uno della grande Disneyland dei luoghi comuni che è tristemente diventata la nostra città. Ha buttato a mare il lavoro di una vita. Non è più avulso da Napoli, anzi. Il risultato è che quasi nessuno lo contesta. Anche se il Napoli non funziona più. Ora sta disperatamente cercando di chiudere un accordo per lo stadio. Sa bene che senza lo stadio di proprietà, la vendita del club gli renderebbe poco rispetto ai suoi desideri.

È fisiologico avere un calo l’anno successivo a una grande impresa. Il timore, secondo noi, è che sia successo qualcosa di diverso da un’annata sbagliata. Sono quei fenomeni legati al trascorrere del tempo. Favoriti da un distacco dalla realtà. Un giorno ti svegli e non sei più lo stesso. C’è chi se ne rende conto, e inizia un doloroso processo di accettazione. E chi invece combatte con tutte le proprie forze quell’istante di consapevolezza.

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