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La resa dello Stato a “Napoli siamo noi”

Gli ultras invitati al tavolo delle istituzioni è una scena da Buñuel. Poi non indigniamoci per la narrazione gomorrosa che avvolge la città

La resa dello Stato a “Napoli siamo noi”

Forse nemmeno Buñuel sarebbe riuscito a immaginare una scena come quella che l’Italia tutta si appresta a osservare: la sfilata in Prefettura dei capi ultras del Napoli invitati al tavolo delle istituzioni per accordarsi sulle misure di sicurezza delle prossime partite e della festa scudetto. Trattati dallo Stato alla stregua di attori istituzionali. Magari come i veri rappresentanti della città visto che il loro slogan è “Napoli siamo noi”. Oggi quello slogan viene riconosciuto dal governo e per loro si apriranno le porte della Prefettura che è il luogo della rappresentanza del governo in città.

Definirla una Caporetto istituzionale è poco, oltre che inutile. Lo Stato alza bandiera bianca, teme soprattutto per la festa scudetto. Ha già dato ampia dimostrazione della propria inadeguatezza nella gestione dell’ordine pubblico e quindi apre la trattativa. «Mettiamoci d’accordo, così siamo più tranquilli che non finisca male». Col sindaco Manfredi grande sponsor di questa soluzione. Non che ci sorprenda. Eppure aver sempre saputo la conclusione di questa vicenda non attenua minimamente la nostra indignazione. Una vicenda peraltro impossibile da spiegare ai nostri bambini. Perché se è diseducativo non ammonire Leao dopo aver divelto una bandierina – come ha giustamente detto Spalletti – figurarsi il riconoscere e legittimare (con tanto di convocazione al tavolo delle istituzioni!) frange di tifosi che in tutta Italia, da sempre, si battono affinché le curve diventino zona franca. E difatti numerosi sono gli episodi di prevaricazione che di tanto di tanto siamo costretti a leggere e ascoltare.

Comprendiamo anche la presunta singolarità di Napoli, dove il confine tra legale e illegale è sempre molto labile. È una città interamente zona grigia. Del resto la scorsa settimana persino il club di tifosi di avvocati, giudici e magistrati quasi metteva sullo stesso piano De Laurentiis (poi venuto a più miti consigli, dalla Thatcher ai Fedayn è un attimo) e gli ultras e invocava una tregua. Il tessuto sociale e culturale della città è quello che è. Quel che fatichiamo a comprendere è perché poi a Napoli ogni tanto ci si indigna quando film e serie tv identificano la città con una spiccata propensione all’illegalità. Insomma quella narrazione gomorrosa che tanto disturba. In fondo – è il pensiero di tanti – che facciamo di male? Anche se va aggiunto che in questo Napoli è sempre avanguardia e l’Italia si sta progressivamente napoletanizzando.

Il ministro Piantedosi, il prefetto Palomba, il questore Giuliano (figlio di Boris Giuliano) ci perdoneranno e certamente continueranno a dormire serenamente se ai nostri figli non parleremo di loro. Se i pargoli dovessero chiederci riferimenti per gli alfieri della legalità, consiglieremmo ad esempio di leggere “Il giorno della civetta” di Sciascia e parleremmo loro del capitano Bellodi. Ovviamente stiamo parlando dei figli minorenni. Perché quelli maggiorenni sono già andati via. Vivono all’estero. E quelle rare volte che tornano, sgranano gli occhi e non resistono più di 48 ore.

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