«Pelé nel bus dei Cosmos era come uno studente in gita: sempre in ultima fila a suonare la Samba»

Il racconto "intimo" del New York Times sul suo periodo americano: "Parlava all'infinito con i bambini o con la gente comune, dovevano trascinarlo via"

Pelè zico

Db Milano 25/05/2016 - photocall film ' Pele' / foto Daniele Buffa/Image nella foto: Edson Arantes do Nascimento

In questi giorni di lunghissimo lutto Mondiale Pelé è stato analizzato in ogni suo aspetto, ogni piccolo scampolo di carriera e di intimità. Mancava forse un pezzettino al puzzle: il Pelé di fine carriera, quello dei New York Cosmos. Raccontato però dall’interno. Un pezzo (di puzzle e di gran giornalismo) che fornisce Lawrie Mifflin sul New York Times. Mifflin è un decano del giornalismo americano, e ha trascorso i primi otto dei suoi 30 anni al Times nella redazione sportiva “coprendo” Pelé e i New York Cosmos nel 1977.

“Il Pelé privato, quello che nemmeno i suoi fan più devoti hanno mai visto, amava sedersi sul retro dell’autobus” – racconta. “Quando i New York Cosmos si trasferirono nel magnifico nuovo Giants Stadium nel New Jersey nel 1977, sembrava che loro, e il calcio, fossero finalmente arrivati. Prima di allora, il Cosmos raramente attirava folle superiori a 15.000 persone; nella stagione 1977 registrarono registrato una media di oltre il doppio e tre volte hanno superato i 60.000”.

Il motivo era ovviamente Pelé. La parte più interessante è appunta quella del dietro le quinte. “A quei tempi, l’autobus della squadra trasportava giocatori, allenatori, staff e giornalisti dall’aeroporto all’hotel allo stadio e ritorno. Il Cosmos aveva una manciata di altri brasiliani, tra cui Carlos Alberto, il capitano dei campioni del Mondo del 1970, e in ogni viaggio si sedevano insieme sul retro dell’autobus, suonando le percussioni e cantando. I brasiliani possono creare un ritmo di samba ovunque, e i tavolini e i braccioli degli innumerevoli autobus noleggiati erano perfetti. Ogni volta che la musica partiva, una rapida occhiata trovava Pelé seduto tra i suoi compatrioti, con quel sorriso ampio e rilassato, che suonava i tamburi”.

“Quando scendeva dall’autobus, Pelé entrava in un altro mondo che richiedeva un trattamento speciale. Il suo compagno di squadra Franz Beckenbauer, la stella tedesca vincitrice della Coppa del Mondo, una volta disse che amava giocare e vivere a New York perché poteva camminare lungo la Fifth Avenue e nessuno lo riconosceva”.

“Aveva una guardia del corpo, Pedro Garay, praticamente ovunque andasse, così come un entourage di assistenti personali, dirigenti di marketing e amici. Durante le sessioni di allenamento, questo gruppo restava pronto a soddisfare qualsiasi esigenza, dalla prenotazione di un tavolo al ristorante, all’organizzazione di un regalo, alla consegna di un messaggio a sua moglie, Rosemeri, e ai suoi figli”.

“Nei rari momenti di conversazione uno contro uno, Pelé sembrava preferire fare domande al suo intervistatore piuttosto che parlare di se stesso”.

C’è una nota che ancora oggi divide lo sport americano da quello europeo: l’accesso libero di giornalisti e vipperia varia agli spogliatoi dopo le partite. All’epoca giravano ospiti come Mick Jagger o Henry Kissinger. Ma soprattutto c’erano giornalisti ovunque.

“In quell’era pre-internet, dozzine di giornali, stazioni TV e radio, riviste e agenzie di stampa inviavano giornalisti a vedere Pelé e il Cosmos, riempiendo le sale stampa e gli spogliatoi con un vibrante mix di spagnolo, portoghese, italiano, tedesco, Greco, turco, francese e varietà assortite di inglese. La scena dello spogliatoio era nuova per Pelé. Era abituato alle domande dei giornalisti nelle conferenze stampa post partita o nelle interviste programmate. Il resto del mondo del calcio non ha seguito – e continua a non farlo – l’usanza americana di ammettere i giornalisti negli spogliatoi subito dopo le partite per ottenere le reazioni dei giocatori”.

Pelé affrontava quella baraonda con calma e serenità. “Sereno come sempre, sedeva sulla sua panca, un pesante asciugamano bianco intorno alla vita, i piedi nodosi e malconci infilati nelle ciabatte, e rispondeva in un inglese geniale ma stentato”.

Eppure Pelé non ha mai trasudato l’auto-coinvolgimento delle celebrità così tipico delle superstar. Parlava all’infinito con i bambini o con la gente comune, spesso fino a quando il suo staff non doveva trascinarlo via fisicamente. Trasudava calore e si compiaceva della gentilezza dei piccoli gesti”.

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