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Osimhen il centravanti cui Spalletti ha insegnato a fare il centravanti

È stato molto interessante vedere il Napoli contro la Roma che fa giocare male gli avversari. Però quanta poca eleganza nelle parole di Mourinho

Osimhen il centravanti cui Spalletti ha insegnato a fare il centravanti
Napoli's Nigerian forward Victor Osimhen (R) speaks with Napoli's Italian coach Luciano Spalletti (L) after winning the Italian Serie A football match between Napoli and Juventus at the Diego-Maradona stadium in Naples on January 13, 2023. (Photo by Alberto PIZZOLI / AFP)

La vera curiosità, adesso, per lo meno per chi scrive, è vedere quando tutti quanti, e dico tutti quanti, capiranno che è arrivato il momento di magnificare il fatto che mai nella storia dei 3 punti (così ho sentito dire, ma è un dettaglio rispetto a ciò che sta facendo il Napoli) a questo punto del campionato c’era stato un simile divario di punti tra la prima e la seconda.

Quando, in sostanza, si rassegneranno (al possibile mancato crollo della capolista sembrano infatti essersi rassegnati) al fatto che se il Napoli domina non è per demeriti o debacle delle tre solite  squadre di Milano e Torino, o perché la stella lo assiste (Mourinho docet: mamma mia, quanta poca eleganza declina l’auto-costringersi a levarsi meriti rispetto a quando si vinceva in prima persona pur di levarli a chi vince ora …) o chissà per quale altra ragione che non risieda nel trovarsi al cospetto di una squadra eccezionale, allenata e preparata in modo eccezionale, con giocatori di livello impressionante, con alternative di gioco e di soluzioni offensive che ha pochi rivali al mondo.

Chissà.

La partita di ieri è stata bella, ma di un bello diversamente apprezzabile rispetto ai classici canoni.

In realtà è stata a tratti anche sincopata, confusionaria, complice il fatto che la Roma di Mourinho, come tutte le sue squadre, tende a far giocare male gli altri per l’ottimo utilizzo delle difese preventive, per l’alta densità di uomini che oppone anche sulle fasce laterali, per la fisicità dei duelli a cui ti costringe in ogni zona del campo, per le interruzioni di gioco attraverso il ricorso a falli sistematici.

E’ stata bella perché anche in questi frangenti in cui è più difficile veder giocare d’insieme il Napoli, emergono comunque qualità nelle singole giocate dei singoli calciatori che comprovano l’altissimo livello medio proprio dei giocatori che tale insieme compongono.

Si veda il primo gol, per esempio.

È una costruzione simile a quella vista settimana scorsa tra Anguissa e Mario Rui, anche qui con il solito portoghese nelle vesti di professore nell’impostazione della “catena” di gioco sulla fascia di sua competenza.

Mario Rui entra nel campo per ricevere il pallone e per lasciare lo spazio ed il tempo a Kvaratskhelia di imbucarsi tra l’ultima linea della difesa avversaria, come poi farà.

Riceve quindi il pallone, e fa una “pensata”, prima ancora che una giocata, da Maestro.

Controlla la palla in modo da attirare in una vera e propria trappola ben tre giocatori della Roma: i due che subito lo vanno a raddoppiare, ed il terzo, l’esterno basso avversario, che infatti invece di stare attento al movimento senza palla del georgiano, si butta anch’egli a tentare di togliere il pallone a Mario Rui.

Errore fatale, perché Mario Rui aspettava solo quello.

Si lascia, infatti, arrivare addosso tutti e tre gli avversari (e quindi anche il terzo ed ultimo uomo, che stava aspettando) mentre controlla il pallone ed usa il corpo a sua protezione, ed una volta che ce li ha quasi attaccati al corpo, ma un attimo prima che possano impedirgli di passare il pallone, si accorge del momento giusto e con la punta del piede mette la palla nello spazio tra l’esterno basso avversario (quello che sbaglia il movimento) ed il primo uomo che ha addosso, in modo da lanciare Kvaratskhelia in quello spazio che lui è già andato ad aggredire scattando.

Questo vuol dire essere forti, questo vuol dire essere allenati bene.

Si capisce in un attimo cosa il tuo compagno stia pensando di fare a tuo beneficio, perché quei movimenti (specie quello in cui l’esterno basso entra nel campo per darti la soluzione di imbucarti nella difesa avversaria  tagliando il campo dalla linea del fallo laterale verso l’area) li hai provati decine e decine di volte fino a che non vengono eseguiti ad arte, e cioè con i giusti tempi ed i giusti giri dati al pallone così giocato.

Kvaratskhelia, dicevamo, scatta a prendersi il pallone, ed anche lui fa una giocata che ad avviso di chi scrive fa sempre la differenza.

In particolare, usa il piede giusto, e cioè il sinistro (anche se non è il “suo”), per proseguire l’azione senza perdere il tempo di giocata che gli ha creato Mario Rui.

Che  non è proprio il “suo”, appunto, ma lui lo sua con la solita maestria: primo controllo (di sinistro) per guadagnare altri metri ed involarsi nella zona in cui eseguirà il cross mentre i compagni stanno aggredendo e riempendo l’area di rigore, secondo tocco (sempre di sinistro) con cui pizzica un pallone morbidissimo crossandolo per il suo centravanti preferito.

Domanda: a quanti di voi che seguono il calcio in modo attento è venuto in mente cosa sarebbe successo con Insigne (così come con qualsiasi altro giocatore che, per esempio giocando a cosiddetto piede invertito, mostra sempre di avere una sola soluzione di gioco) in quel frangente?

Ecco, ve lo dico io (con tutto il bene che pure ho voluto ad Insigne): avrebbe controllato il pallone con il destro, perdendo il tempo di giocata guadagnatogli da Mario Rui e sarebbe rientrato sempre sul destro per provare a tirare (a giro) o per provare un cross più facilmente intercettabile dagli avversari perché partito da una zona in cui avrebbe dato poche chance ai saltatori della sua squadra (palla lenta a spiovere con difesa avversaria che ha il tempo di riposizionarsi).

Ecco, spesso la differenza è nell’idea che determina la soluzione, prima ancora che nell’esecuzione della stessa.

A quel punto, la palla arriva ad Osimhen (dopo che il suo uomo salta a vuoto), che la incolla sul petto con uno stop ad altissimo quoziente di difficoltà, se lo fa scendere sulla coscia per un secondo controllo in progress, dopo di che se lo fa ancora scendere ad altezza tiro e con l’esterno del piede destro (guardate come posiziona il piede e come impatta il pallone: da far vedere a tutte le scuole calcio del paese) fa partire una saetta che non sia mai prende in faccia Rui Patricio gli cambia i connotati.

Uno a zero, gol del centravanti più forte che c’è.

Gol del centravanti a cui Spalletti ha insegnato a fare il centravanti, con i giusti movimenti tra le linee, con le giuste posture in fase di ricezione del pallone sulla figura o sulla corsa, con la visione sempre esatta sulla giocata da fare in ogni fase della partita.

Il gol del pareggio della Roma è un gol che, a guardarlo bene, sembra essere determinato da un iniziale errore di lettura di tutta la linea difensiva del Napoli, che sebbene abbia il tempo di scappare verso la porta e posizionarsi faccia al pallone prima ancora che parta il cross, ha un attimo di esitazione cercando invece di alzarsi.

È un attimo, ripeto, che però è in grado di far  perdere un paio di rifermenti sugli avversari, soprattutto da parte di Lozano, che infatti si fa passare l’uomo dietro ed il pallone davanti e si fa beffare in modo preventivabile.

Peccato, perché Lozano ieri ha giocato una grande partita: sempre in grado di saltare l’uomo (sia da fermo che lanciato nello spazio) dando ampiezza ed andando a guadagnarsi la linea di fondo dopo aver accettato e vinto i duelli con il suo marcatore, sempre in grado di dare verticalità alla manovra, come è prova la strepitosa azione in cui conduce la palla, imprendibile nella corsa, per 70 metri di campo e poi conclude a rete costringendo Rui Patricio ad una grande parata.

Peraltro, basta guardare con quale foga e con quale velocità, in quell’occasione,  lo accompagnano Kim e Kvaratskhelia per dargli soluzioni di passaggio o libertà di conclusione per rendersi contro, ove ancora ce ne sia bisogno, della forza di collettivo e di singoli della squadra azzurra: davvero incredibile.

Il gol del due a uno è anch’esso bellissimo.

Simeone (altro signor centravanti) riceve una palla spalle alla porta al limite dell’area, ruota su se stesso di 180 gradi (con movimento sul piede perno destro) facendosi sfilare il pallone sul sinistro, in una frazione di secondo battezza l’angolo in cui direzionarlo e così lo direziona quasi accarezzandolo, sempre di sinistro (non il suo piede), nell’angolo alto dove il portiere non può arrivare.

Vale come sopra per il campione georgiano, questa è la prima morale della storia: avere in squadra giocatori che hanno più opzioni per la soluzione finale e capiscono quale tra queste è la più efficace, in quell’esatto momento, per fare gol.

Sembra, come al solito, un caso che Simeone riceva palla proprio lì, smarcato da pressioni avversarie.

Ma nulla è un caso nello sport professionistico ed a certi livelli.

Simeone è un calciatore (questa la differenza tra giocatore e calciatore) che durante le frazioni di gioco in cui sta in panchina studia gli avversari, ne coglie le debolezze, le fragilità, e quando entra in campo fa gol perché sa dove e come andare a costruirsi le soluzioni per ciò necessarie o più opportune.

Un calciatore incredibile, specie sotto questo punto di vista, che comprova ancora una volta il salto di livello che ha fatto il Napoli.

Questa la seconda morale della storia: quando in organico hai calciatori che se stanno in panchina non mugugnano, ma che accettano la scelta del proprio allenatore (perché consapevoli di avere davanti un marziano) e che passano il tempo in cui non sono impiegati a capire come rendere al meglio e come colpire gli avversari quando saranno impiegati, beh allora hai fatto bingo.

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