Jacobsen: «Dopo l’incidente, è come se fossi diventato dieci anni più saggio»

Alla Gazzetta: «Guardo la vita con occhi diversi. Dopo la mia caduta gli arrivi sono più sicuri. La paura? Se uno sprinter non ha paura, è incosciente o stupido»

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Jacobsen: «Dopo l’incidente, è come se fossi diventato dieci anni più saggio»

La Gazzetta dello Sport intervista Fabio Jakobsen. Il 5 agosto 2020 ebbe un terribile incidente al Giro di Polonia, causato da Dylan Groenewegen. Rischiò di morire. Ha chiuso il 2022 da campione d’Europa e numero uno delle volate. Gli viene chiesto se un velocista si può permettere di avere la paura come compagna di viaggio. Jakobsen risponde:

«Certo che la paura c’è. Se uno sprinter non ha paura, allora semplicemente è incosciente. Oppure stupido».

Jacobsen ripensa a quello che gli è successo.

«Si potrebbe dire che sono diventato dieci anni più saggio… in un solo anno. Dopo la caduta, non mi sento più vecchio, ma ho uno sguardo differente nei confronti della vita. Amo sempre il ciclismo, mi diverto a competere… ma c’è molto altro. Ho un equilibrio maggiore. Ok, il ciclismo è importante, però moglie, famiglia e amici lo sono di più. Tento di combinare il tutto, e di essere felice. Mi sono anche sposato: il 2022 è stato molto bello e spero di continuare così».

È estremo dire che l’incidente che ha avuto si è trasformato in una opportunità?

«Volendo avere una visione ottimistica… In realtà, non c’è dubbio che sarebbe stato meglio non averlo. Ma non possiamo cambiare il passato. Qualcosa di positivo c’è stato, cerchiamo di guardarla in questo modo».

Diceva che se uno sprinter non ha paura, è incosciente o stupido…

«Sì. Non solo nello sprint, ma nel ciclismo in generale c’è una componente di pericolo. Tutti cadiamo e tutti ci confrontiamo con la paura. Ci sono dei momenti in cui devi essere cauto, e assicurarti di poter restare sulla bici. Momenti in cui tiri fuori il coraggio e cerchi di superare la paura. Sapete: vincere una gara è bello, ma non lo scambio con il finire sull’asfalto».

Parliamo in generale: le volate stanno diventando più o meno pericolose? Jacobsen:

«A me sembra che i finali siano un po’ più sicuri, anche se non tutti. Dopo quello che mi è successo, la maggior parte dei corridori sa a che cosa si può andare incontro se qualcosa va storto. L’ideale resta sempre un finale in un rettilineo di 4-500 metri senza curve».

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