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Il Guardian: «In Germania il Mondiale è ormai una questione identitaria»

La “lotta” tra diritti e risultati sportivi è finita in politica. E persino la mancanza del centravanti classico viene vissuta come un oltraggio alla mitologia tedesca

Il Guardian: «In Germania il Mondiale è ormai una questione identitaria»
Doha (Qatar) 23/11/2022 - Mondiali di calcio Qatar 2022 / Germania-Giappone / foto Imago/Image Sport nella foto: Hansi Flick ONLY ITALY

Niente come la Germania riflette tutte le storture di questo Mondiale in Qatar. Nella commistione tra politica e pallone, la “crisi” tedesca tra diritti e risultato sportivo ha creato un solco. In Germania il dibattito sui media (terribili nel rinfacciare quotidianamente alla sua nazionale la pavidità) è tracimato in politica e tra la gente. Ne stanno facendo un discorso di identità. Il Guardian sottolinea questo fenomeno con un editoriale di Jonathan Liew.

Liew ricorda che il partito di estrema destra, l’AFD accusa “l’inconfutabile perdita delle priorità”: “Se ti preoccupi più delle fasce che del calcio, perdi 1-2 contro il Giappone”, ha twittato il portavoce Martin Reichardt. “La sconfitta è il simbolo del declino della Germania, dove l’ideologia ha la precedenza su tutto!”.

“Il sottotesto è che la lealtà al Paese ha la meglio sulla lealtà ai valori universali, anche su qualcosa di ineccepibile come i diritti LGBTQ+. Se si guarda un po’ più da vicino, si possono persino assaporare le note acri e familiari del mito del tradimento globalista che sta guadagnando terreno in molte democrazie occidentali: un profondo senso di declino, un’angoscia per il proprio posto nel mondo”.

Non è solo calcio, l’abbiamo ripetuto più volte. E il Guardian scrive che “la questione se la squadra di Hansi Flick possa battere il Costa Rica ed evitare l’eliminazione nella fase a gironi della Coppa del Mondo per la seconda volta consecutiva è, per molti versi, una questione che va più in profondità del calcio”.

“Colpisce piuttosto il cuore stesso della stessa società tedesca: una società in preda a radicali cambiamenti demografici e turbolenze politiche, dove le vecchie certezze non sembrano più certe e rassicuranti. Chi siamo noi? Cosa ci rende noi? Cosa riserva il futuro? Su scala ridotta, ma sotto i riflettori più accesi e in piena vista del mondo, queste sono alcune delle stesse domande che Flick sta attualmente cercando di affrontare”.

Qui Liew fa un’acrobazia: il parallelo con la mancanza del grande centravanti, “una continua fonte di introspezione in Germania e messa maggiormente a fuoco negli ultimi anni. Da Gerd Müller a Karl-Heinz Rummenigge a Jürgen Klinsmann a Miroslav Klose; il numero 9 dominante è una parte centrale della mitologia del calcio tedesco. E così per molti, l’assenza di centravanti di livello mondiale – generalmente ritenuti un prodotto di un sistema di sviluppo giovanile che privilegia la versatilità e l’eccellenza tecnica rispetto alla specializzazione – è emblematica di qualcosa di più profondo; una diluizione dell’identità tedesca, una divergenza dalla tradizione”.

Per cui adesso l’ascesa di Niclas Füllkrug viene “interpretata come un ritorno ai valori fondamentali”. “Le virtù tedesche, che ultimamente ci mancavano un po’, sono tornate”, ha scritto Lothar Matthäus dopo il pareggio contro la Spagna.

Il punto, dunque, è che, “in un’epoca di confini porosi e di crescente fluidità delle idee, si parli di un’identità calcistica nazionale”.

In più, “una diffusa disillusione sulla dimensione morale della Coppa del Mondo – diritti umani, commercializzazione, cambiamento climatico – ha generato un’ambivalenza per il torneo in patria”. “Nel frattempo, l’impopolarità della DFB, la federazione nazionale, sembra oltrepassare i confini della politica e dell’età”.

Flick non ha a che fare solo con la gestione di una partita di calcio, “c’è la sensazione che la Germania stia combattendo su un fronte molto più ampio”.

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