ilNapolista

Tozzi: «Volevo fare il calciatore. Papà mi proibì di andare a Coverciano per una brutta pagella»

Al CorSera: «Sono guarito da un tumore, temevo di non salire più su un palco. Vengo da una famiglia povera, il filetto l’ho scoperto a 18 anni»

Tozzi: «Volevo fare il calciatore. Papà mi proibì di andare a Coverciano per una brutta pagella»

Il Corriere della Sera intervista Umberto Tozzi, 70 anni e oltre 80 milioni di dischi venduti. Tra i suoi più grandi successi c’è “Ti amo“, con cui nel 1977 vinse il Festivalbar. Nel 1987, in trio con Gianni Morandi e Enrico Ruggeri,
arrivò primo a Sanremo con “Si può dare di più”. Racconta di essere guarito da un tumore alla vescica.

«Ad aprile il mio cardiologo mi ha prescritto un’ecografia addominale. Doveva essere routine. Invece mi hanno trovato il male. È stato un periodo davvero difficile, adesso per fortuna ne sono fuori, un mese e mezzo fa mi hanno detto che sono guarito e incrociamo le dita».

Un’esperienza che, però, gli ha ovviamente cambiato la vita.

«Queste cose qui ti cambiano la vita. La tua e di chi ti sta accanto. Mi sentivo perso, avevo paura di non poter mai più salire su un palco. Mia moglie Monica è stata fondamentale. Non mi sono mai arreso. Prima e dopo l’intervento, durante le terapie, che non sono una passeggiata. Finché non accade a te, il cancro sembra un problema lontano. Poi nella testa si resetta tutto: i valori, le priorità, le cose che contano. E anche quando guarisci, il trauma ti resta dentro. Mi credevo debole, ho scoperto di avere coraggio. Mi ha stupito la serenità con cui sono riuscito ad affrontare la malattia. Ho messo da parte la paura, cercando di essere ottimista».

Tozzi racconta com’era da bambino.

«Ribelle, facevo tutto il contrario di quello che mi raccomandavano i miei, andavo male a scuola. Volevo fare il ferroviere, come zio Matteo».

Su suo padre, guardia notturna.

«Ha fatto tanti sacrifici per noi, lo vedevo giusto qualche volta che cenava a casa. Soldi, pochi. Il filetto l’ho mangiato per la prima volta a 18 anni. Ero sempre in strada. E mi cacciavo nei guai. Meglio sorvolare. Come minimo spaccavo qualche vetro. I vigili, con quei capelli, mi riconoscevano da lontano, pure al buio».

Uno dei suoi sogni, oltre a fare il ferroviere, era quello di diventare calciatore.

«Centrocampista con il fiuto del gol, avevo due piedi buoni. A 14 vinsi una settimana premio a Coverciano, papà mi proibì di andare perché avevo una pagella orribile. Ci soffrii molto, anche se no, non avete perso un grande campione, tranquilli».

A Tozzi per anni non è piaciuta la sua voce.

«Ci ho messo decenni per apprezzarla, ora mi stimo. Alle prime registrazioni mi sembrava orribile. Pure Mick Jagger ha raccontato che nella sua non ci trova niente di così speciale, tantomeno di sensuale, eppure».

E’ vero che in ritiro con la nazionale cantanti vi tenevano a dieta e il coprifuoco, la sera prima del match, scattava alle dieci ?

«Sì, ma non l’ho mai rispettato. Ero nel gruppetto di quelli che scappavano dalla finestra, per questo chiedevamo sempre le stanze al piano terra. Però dai, ho segnato una cinquantina di gol, 12 volte capocannoniere».

Il fallaccio più scorretto mai subito?

«Da Riccardo Patrese, durante una partita sotto la pioggia a Padova. Non ho mai capito perché. A gioco fermo, bofonchiando qualcosa che non capii, mi sferrò un calcione negli stinchi».

Amici tra i colleghi ne ha?

«Pochi. Con Gianni Morandi e Enrico Ruggeri ci siamo frequentati, certo. E pure con tutti quelli della nazionale cantanti. Ma Raf l’ho vissuto di più».

Io non ti merito, tu sei troppo per me, le solite scuse?

«No, giuro. Ero un gentleman educato, mai stato un playboy. Anzi, non capivo bene perché si innamorassero di me».

ilnapolista © riproduzione riservata