Alla Gazzetta: «Ancelotti un grande, faceva sempre finta di dire sì a Berlusconi. Non potrei allenare, devi gestire 25 giovani “cabrones” che vogliono fotterti»

Ronaldo il fenomeno. La Gazzetta lo ha intervistato. Ha parlato del calcio duro dei suoi tempi ma anche dell’Inter. Non però nel documentario di Dazn. E soprattutto non del 5 maggio ultima giornata di campionato, con la sconfitta in casa della Lazio e il sorpasso della Juventus. Il giornalista gli chiede come mai.
Chiudiamo da dove siamo partiti, dal film. Iniziate dal 1998, ma non avete messo l’epilogo turbolento di quel campionato di Serie A.
«Perché l’idea era quella di fare da Mondiale a Mondiale, 1998-2002, con la nazionale e gli infortuni. Però quella storia dell’Inter dobbiamo raccontarla per bene, ci vuole un altro documentario. Ho visto la serie su Moratti e l’ho trovata spettacolare, ma è vero che ci sono ancora tante cose da dire».
Di Moratti dice:
Con lui ho avuto un rapporto umano incredibile, incredibile. È stata una delle persone più importanti della mia vita. Come ci trattava, come ci parlava, come ci curava, come si preoccupava per noi.
E Berlusconi?
«Sono stato poco al Milan, però conservo grandi aneddoti: veniva nello spogliatoio a dirci come dovevamo tirare i calci d’angolo. Erano un po’ di partite che non segnavamo su corner e veniva lui a farci vedere come andavano tirati. Ancelotti, un maestro incredibile che sapeva sempre tutto, ci faceva ascoltare. Diceva “Sì, sì, sì”. Poi, quando usciva Berlusconi: “Torniamo alle nostre cose”».
Ha mai pensato di allenare?
Altra risata. «No, no, no. Io quella tappa l’ho saltata, mi sono comprato direttamente le squadre. Però non interferisco nelle scelte dell’allenatore eh? L’idea della panchina non mi ha mai attratto. Zero. Mi uccide. Perché hai la stessa routine di quando giocavi, ma lì almeno fai quello che devi fare e finisce lì. Come allenatore devi gestire 25 persone, giovani, “cabrones” che non vogliono fare altro che fotterti. No, impensabile. Però ammiro moltissimo la categoria, gli allenatori sono innamorati del calcio e sopportano cose che io non tollero».
Ancelotti (da lui citato più volte nell’intervista).
«Carlo per me è, e con grande distacco, la persona migliore mai esistita nel mondo del calcio. È un amico per tutti, non solo per me. Tutti gli vogliono bene, e poi come allenatore è incredibile, per qualità, visione, capacità di capire i giocatori. Si merita tutto quello che ha vinto, per professionalità e carattere».
Il gioco duro.
Vengo da una generazione nella quale in campo picchiavano tanto. Madre mia. Le partite non erano come oggi che ci sono 15-20 telecamere, in un Clásico 60, al Mondiale mille. Oggi si vede tutto. Ai miei tempi i difensori ti minacciavano, ti sputavano, ti pestavano i piedi, ti picchiavano. Sono cresciuto come un sopravvissuto».
Parlando (nel documentario, ndr) con Roberto Carlos definisce i giocatori come gladiatori.
«Io mi sentivo esattamente così. Eravamo come dei guerrieri, ci buttavano nell’arena per vedere chi ne usciva vivo. La pressione che avevo addosso mi spingeva sempre più verso il basso e un ragazzo così giovane non sa come comportarsi, come affrontare cose tanto grandi. Oggi tutte le squadre hanno uno psicologo, noi eravamo soli, nessuno parlava di salute mentale. Ho fatto una gran fatica, e ho imparato tanto prendendo ceffoni da ogni parte. Due anni e mezzo fa ho iniziato a fare terapia e la cosa mi ha aiutato a capire meglio anche cosa ho sentito prima».