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Spalletti è l’ultimo erede della Democrazia Cristiana (ed è un grande complimento)

Con l’etica del lavoro e il metodo dell’inclusione, ha attraversato le tante fazioni di Napoli (compresi noi) e ha portato questo gruppo di calciatori all’ultima curva

Spalletti è l’ultimo erede della Democrazia Cristiana (ed è un grande complimento)
Benigno Zaccagnini e Aldo Moro

Se a sette giornate dalla fine del campionato il Napoli è ampiamente in corsa per la conquista dello scudetto, è dura non attribuire gran parte dei meriti a Luciano Spalletti. Da tempo disegnato come il burbero, con l’aggravante della linguaccia velenosa intinta nell’Arno, l’allenatore di Certaldo a Napoli ha mostrato tutt’altro volto. Probabilmente perché in passato è vittima di uno storytelling parziale, figlio soprattutto di certi ambienti romani. O forse perché succede che nella vita finisci in un posto nuovo e senti dentro di te l’energia e la disposizione d’animo per recitare un ruolo diverso. Oppure entrambe le cose.

Fatto sta che a Napoli Spalletti è stato ed è più che altro un monaco tibetano. Un lavoratore infaticabile. Concentrato sull’oggi. Potremmo dire calvinista. Diciamo invece con lo stesso approccio di chi ha lavorato in campagna, consapevole che i risultati si ottengono soltanto con la dedizione e la perseveranza.

Questo è stato ed è il metodo Spalletti. Lo disse dopo la recente sconfitta interna col Milan, sconfitta che sembrò estromettere il Napoli dalla lotta scudetto. Come al solito, sembrava che fosse crollato il mondo. «Domani mattina alle 8 sono a Castel Volturno come sempre». E dopo il gol di Giroud la squadra ne ha vinte tre di fila: Verona, Udinese, Atalanta.

Spalletti ha attraversato Napoli con un approccio completamente a-ideologico. Siamo certi che abbia colto tante sfumature della città, dell’ambiente. Lasciandole tutte sulle sfondo. Ha capito subito che si sarebbe andato a ficcare in un ginepraio da cui sarebbe stato impossibile venirne fuori. In fin dei conti non ha sposato alcuna della fazioni dell’ambiente. Gli va dato atto che ha marcato subito le distanze dal complottismo, sin dalla prima conferenza stampa quando si tirò d’impaccio dalla immancabile domanda su quell’Inter-Juventus 2-3 partita su cui Napoli ci ha costruito una Treccani del complotto.

Io conosco molti arbitri perché sono abbastanza anziano, per me diventa difficile andare a sindacare su quello che può essere un episodio, anche perché ne ho ricevuti anche a favore oltre che contro.

Su questo punto ha tenuto la barra dritta. Non si è mai lamentato. Non ha mai addotto scuse per i tantissimi infortuni. Non meno che gandhiano.

Ma non ha sposato neanche la linea che possiamo definire napolista. Dal primo giorno sta provando a tenere in equilibrio vecchio e nuovo, a far convivere i colonnelli dello spogliatoio con i più giovani che forse qualche occasione in più l’avrebbero pure meritata. Ha proceduto senza strappi, tranne rarissime volte (ci viene in mente Verona). Ha sempre preferito aggiungere invece che sottrarre. Procedendo per gradi, e poi assaggiando per verificare di volta in volta se non si fosse perduto il gusto originale. Ha comunque dolcemente reso meno centrale un calciatore come Mertens che, ipotizziamo, nello spogliatoio ha avuto e ha qualche peso.

Chissà, forse per il signor Luciano potrà suonare offensivo, ma a noi ha ricordato e ricorda l’inclusività della Democrazia Cristiana partito che meriterebbe un ampio, diffuso e profondo processo di rivalutazione. Un partito semplicemente gigantesco in cui convivevano Dossetti e Tambroni, Fanfani e Andreotti, Zaccagnini e Forlani (Emilio Colombo non possiamo non citarlo). Un partito che ha costruito l’Italia.

Spalletti ha legato a questo Napoli calciatori che da mesi hanno firmato per un’altra squadra. Come Insigne il capitano. L’ha tenuto agganciato a sé e al Napoli quando sarebbe stato più semplice optare per una rottura. Di certo nessuno della società glielo avrebbe rinfacciato. Per noi del Napolista è stato fin troppo conservatore ma evidentemente lo ha fatto perché sapeva che c’era bisogno di tutti per arrivare a questo punto, cioè a sette giornate dalla fine in piena volata per lo scudetto.

E sì magari ha ecceduto in qualche populismo. Ma non deve essere facile, per chi viene da fuori, immergersi in una realtà in cui è il nome dato al figlio di un calciatore a spingere la tifoseria per una richiesta di rinnovo. Diciamo la verità, Napoli mette a dura prova qualsiasi tentativo di analisi vagamente razionale della realtà. Si seguono altri criteri, criteri che tra l’altro possono contare sulla grancassa mediatica che non vede l’ora di ritrarci come una tribù.

Spalletti ha tenuto tutto e tutti insieme. Domenica a Bergamo, ha ottenuto che si battessero alla morte Mertens – che ha il contratto in scadenza – e Zanoli che aveva giocato scampoli di partita; Insigne – che è già canadese – come Lobotka che sembrava un ex calciatore. Senza dimenticare Elmas che lui è riuscito lentamente a inserire nel complesso Napoli senza creare turbolenze.

Spalletti ha creato e cementato un gruppo che includesse tutti. È un passaggio importante. Non ha escluso nessuno. Ha fatto sì che si battessero per il Napoli giocatori che un anno fa non erano nemmeno considerati. E lo ha fatto mettendo al primo posto il lavoro. Riuscendo a trasmettere il messaggio che ciascuno avrebbe ricevuto tantissimo se fosse riuscito a dare tutto quello che aveva.

È impossibile prevedere come finirà. Ma sarebbe ingiusto non riconoscere all’allenatore la porzione più ampia di meriti. Poi, in caso di sconfitta, ciascuno si lamenterà di qualcosa. Probabilmente noi compresi. Va così. Però ci sentiremmo disonesti nel non riconoscere a Spalletti l’importanza del suo esempio. Si è messo lì, senza proclami, persino con poche chiacchiere e poche iperboli (come detto, qualche scivolata populistica gliela perdoniamo) e ha portato questo gruppo di calciatori in ottima posizione all’ultima curva. Adesso lui, proprio lui, meriterebbe di avere nel finale quel tifo che a Napoli manca da anni e che resiste solo nei luoghi comuni. Perché, oltre che un bravo allenatore, Spalletti è una brava persona, intellettualmente onesta. Questo traguardo lo meriterebbe più di chiunque altro.

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