Alla Gazzetta: «Dopo aver visto la macchina di Ribery gli ho detto “sono contento che non sei morto”. Sono pieno di difetti, ma non sono mai stato patetico»

La Gazzetta dello Sport intervista Walter Sabatini, direttore sportivo della Salernitana. Gli viene chiesto di indicare un motivo per cui la Salernitana riuscirà a salvarsi.
«Perché un gruppo di giocatori ora sta diventando una squadra. Siamo stati già ampiamente definiti come retrocessi. Lo siamo al 93%. Il 7% l’ho trattenuto io».
Sull’incidente di Ribery che ha destato tante polemiche negli ultimi giorni, e per cui il club ha deciso di multare il giocatore:
«Dopo aver visto la macchina gli ho detto solo “sono contento che non sei morto”. È un essere umano, straordinario, aiuta i compagni, partecipa con tenacia nonostante la sua storia».
Sull’Inter, alla quale è stato vicinissimo:
«Un sogno averla accarezzata. Ho sbagliato la porta d’ingresso, però. Ho accettato una richiesta interna di rimanere fuori dall’organigramma. Non avrei mai dovuto farlo. Non si va all’Inter da fantasma, all’Inter si grattano i gomiti a tavola e si fanno le cose con fermezza. È un rammarico profondo, non mi sono messo in condizione di fare il massimo: andando via da Roma, non c’era altra società che avrebbe potuto emozionarmi».
Alla Roma, invece, ha vissuto la situazione opposta, gli fanno notare:
«Lei allude a Baldini. Ma io devo ringraziarlo, fui lui a fare il mio nome alla proprietà americana. Quando Pallotta gli propose di fare il consulente, dissi a Franco “tu accetta pure, ma io me ne vado, perché nessun direttore sportivo potrebbe lavorare in questo modo”. Sono pieno di difetti, ma non ho mai corso il rischio di diventare patetico».
Quando era dirigente alla Lazio ha avuto a che fare con Simone Inzaghi:
«Un rompicoglioni mai visto. Aveva una grande capacità di letture delle cose: le dettava agli altri, lui spesso non riusciva a metterle in pratica. Una radiolina accesa: mi venne il sospetto potesse diventare allenatore».
Sabatini è uno dei pochi ad aver avuto un dialogo con Zhang Jindong.
«Non è un umano. È un semidio. Ricordo cene opulente nella sua residenza, io lui e Capello. Una volta io e Fabio eravamo a tavola con Lippi. Jindong scese dai piani alti per salutare Marcello, una divinità in terra. Nessuno lo vedeva mai, era un figura mitologica».
Chi vince questo scudetto?
«Mi mette in difficoltà: la mia Inter, il Milan di Massara, il Napoli di Luciano. Non le rispondo».
Il giocatore che più l’ha tormentata?
«Tutto mi tormenta, pure uno stop sbagliato. Ma la differenza tra me e gli altri d.s. è che io non porto le slide, non ho l’algoritmo del successo. Io riempio le mie giornate con gli allenamenti».
Sull’inchiesta sulle plusvalenze:
«Mi inorgoglisce il fatto che le mie siano state tutte dirette, inconfutabili, inattaccabili, senza incroci. E questo lo dico anche per la Roma e i suoi tifosi».
Il presidente più complicato?
«Direi Zamparini. Ma era il mio dobermann. E mi ha insegnato l’arroganza sul mercato. Anche a Lotito devo tanto. Ma ha un grande limite: non lascia niente a nessuno, alla gente, ai tifosi. Fa solo le cose difficili, quelle facili gli vengono male».
Sabatini assicura che resterà a Salerno anche l’anno prossimo:
«Sì, mi sono impegnato con il club e soprattutto con la città, a cui devo restituire qualcosa».