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Il Napoli e il primato personale (contro la narrazione della liquefazione nei presunti momenti clou)

Saranno stati due in quindici anni. Il Napoli ha una sua forza e una sua dimensione che non vogliono essere accettate. E allora si aspetta il Rex

Il Napoli e il primato personale (contro la narrazione della liquefazione nei presunti momenti clou)
Db Napoli 06/03/2022 - campionato di calcio serie A / Napoli-Milan / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Stefano Pioli-Zlatan Ibrahimovic

La sconfitta interna col Milan ha rivoltato completamente i discorsi e l’umore vissuto dopo Lazio-Napoli. Il dibattito sul carattere e la mentalità è tornato in auge, stavolta con connotazioni negative. Il cosiddetto ambiente parla di un solo tema e cioè: ogni volta che la squadra arriva lì, al presunto momento cruciale, si scioglie. Resistiamo alla tentazione di fare il confronto con i settori del resto della città. E quindi scriviamo che probabilmente la società, sul modello Liverpool, potrebbe dotarsi di scienziati della testa (in quel caso neurologi) che aiutino ad aumentare la concentrazione e a migliorare la performance quando il livello della tensione si alza. Ormai non è stregoneria. È scienza. L’allenamento mentale è a tutti gli effetti parte integrante dello sport professionistico. Vale per ogni disciplina. Allo stesso tempo non possiamo non ricordare come sono sempre stati trattati in città i fautori di innovativi metodi di allenamento.

Accanto a queste considerazioni e all’impegno che la società può profondere per migliorare globalmente il Napoli, va assecondato anche l’istinto napolista. E non possiamo non chiederci: ma quali finali di Champions ha perso il Napoli? Quante volte ha perduto lo scudetto all’ultima giornata, come accaduto all’Inter il 5 maggio o alla Juventus a Perugia? La nostra modesta risposta è: mai. L’impressione è che ci sia una sopravvalutazione del Napoli. Alimentata da una falsa narrazione. Che a sua volta si nutre di proiezione di sentimenti e – va detto – di frustrazioni. Oltre che di un racconto che si ostina a dipingere Napoli come un luogo delle favole.

Il Napoli è una squadra forte, con buoni giocatori, alcuni ottimi. È, più o meno, la squadra che questa società può permettersi. Il Napoli non ha Giroud, e si è visto. E quando avrebbe potuto avere Ibrahimovic, è scappato. Si è rifugiato nel veleno. Storicamente il Napoli non è una squadra attrezzata per vincere. E infatti raramente è stato in corsa per la conquista dello scudetto. È successo con Sarri nell’anno dei 91 punti e nell’anno di Zaza ma quella partita si giocò il 14 febbraio. Se davvero volessimo avere un approccio analitico, dovremmo dire che il momento più importante è stata la semifinale di Europa League perduta contro il Dnipro. Ma sarebbe un esempio sbagliato visto che a Napoli l’Europa è considerata come il due di briscola. Quindi, di fatto, l’unica volta che il Napoli si è sciolto, sarebbe l’anno dei 91 punti. Che abbiamo archiviato alla voce “colpa di Orsato”. Responsabilità non nostra, e vai.

Forse bisognerebbe guardare in faccia la realtà. Questo Napoli ne ha giocate pochissime di partite che scottano. Non ci è mai arrivato. Poi la piazza è libera di confondere Cagliari-Napoli con un incontro decisivo, ma non si può andare dietro agli umori della piazza. Né lasciarle la possibilità di dettare l’agenda.

Nello sport esiste un record che è spesso sottovalutato ma che, soprattutto nell’atletica leggera e nel nuoto, è di fondamentale importanza: il primato personale. È il primato personale a dare la misura del lavoro svolto e dei miglioramenti ottenuti. Poi, molto ma molto raramente, possiamo dire anche quasi mai, quei progressi ti portano a vincere la medaglia d’oro nei 100 metri alle Olimpiadi. Migliorare il personale è un grande successo per gli atleti.

Il Napoli, ogni stagione, prova a migliorare il proprio primato personale. Che, ahinoi, è lontano dal tempo che occorre per vincere. Ciò non toglie che il lavoro svolto sia di pregevole fattura. Ma se si va in pista pensando di poter scendere sotto i 10 secondi quando il nostro personale è di 10 e 40, beh allora ci rimarremo sempre male.

E veniamo al passaggio successivo. “Quindi non vinceremo mai niente? Io sono stufo, così non mi interessa”. Che poi è il motivo, almeno così si dice, del malcontento diffuso tra i tifosi del Napoli. La gestione De Laurentiis è ora considerata un tappo. E infatti è tornata prepotente quella che un tempo era la voglia di sceicco e oggi potremmo definire il desiderio degli americani (il nostro Rex per dirla fellinianamente). Le notizie si susseguono quasi quotidianamente. Ovviamente prima o poi accadrà che De Laurentiis ceda la società. Non sappiamo quando. Né sappiamo se il successore farà meglio di lui. Però la sola idea pare che arrechi sollievo, è un balsamo. A noi sembra un altro modo per non viversi la realtà. Una realtà in fondo nemmeno così sgradevole, se fosse vissuta. Si cerca sempre altro. Un qualcosa che con ogni certezza conduca il Napoli alla vittoria. Va da sé: un qualcosa che non può esistere.

È il motivo per cui non abbiamo mai compreso questa insoddisfazione così profonda. Senza voler scomodare Kavafis e la sua Itaca – sul valore del viaggio – ci accontentiamo (si fa per dire) del grande Nick Hornby e del suo Febbre a 90 in cui lo scudetto dell’Arsenal non è certo il cuore del libro. Ecco, per noi essere tifosi vuole dire essere come Hornby. Ci riconosciamo in quella passione.

Poi, il Napoli avrebbe potuto fare meglio contro il Milan. Pioli è stato più bravo di Spalletti. Osimhen ci pare non sfruttato a dovere. Siamo per un investimento su quella che potremmo definire struttura mentale del Napoli. Ma proprio non riusciamo a pensare che questo Napoli possa fare di più.

Permetteteci un ultimo pensiero. È stato bello rivedere lo stadio pieno, o quasi. Ma ci siamo sentiti anziani. Abbiamo avuto la fortuna di vivere tempi in cui il tifo del San Paolo (si chiamava così) ti toglieva il respiro e metteva realmente paura.

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