A Olè: «Ai miei tempi, alle cene, non mi alzavo finché non si alzava il top player, ora no. A Miami c’è un’altra cultura, non criticano il fisico, pensano al calcio»
Su Olé un’intervista a Gonzalo Higuain, ex di Napoli e Juventus, oggi all’Inter Miami. Un ambiente che, come ha già detto altre volte, gli piace molto, gli dà tranquillità.
«Ho trovato ciò che cercavo: tranquillità emotiva e interiore. A livello di sicurezza, rispetto. Sono uscito dal vortice europeo. Qui non c’è quel male, quella sfiducia, quell’invidia. Il giornalista che ti critica sempre. Qui, se un giornalista dice cose cattive su di te, lo fa con rispetto, cosa che altrove non esiste. Giochiamo in casa e arriviamo due ore prima della partita, mia figlia può scendere in campo con mia moglie. Ci sono meno regole, tutto è più naturale. Sembra che si gioca a calcio nei fine settimana e ci si rilassa durante la settimana. È un campionato molto bello da giocare e dove poter essere felici, anche fuori dal campo».
Higuain si sofferma sulla moderna generazione di calciatori, molto diversa da prima.
«È un’altra generazione, non è quella di quando avevo 18 anni dove c’erano altre regole, più rispetto per le persone con più esperienza. Oggi i giovani stanno nella loro bolla, io sono una persona che ti parla una volta, due volte, ma se non vuoi ascoltarmi non ti parlo più. Fai la tua vita. Cerco di dare loro consigli in modo che possano migliorare. È un’altra generazione».
Continua:
«E’ molto diverso da quando io avevo la loro età, ma devi adattarti. Non è solo negli spogliatoi. Alle cene, quando giocavo, non mi alzavo finché non si alzava il top player. Il giovane non lo vede più. A tavola, se mi sedevo con persone anziane, non parlavo nemmeno. Oggi il giovane viene più spogliato. Le generazioni sono cambiate».
Parla delle critiche ricevute in Europa. Quelle che lo hanno colpito di più sono quelle alla famiglia.
«Non sopporto quando scherzano con la mia famiglia, perché non ha niente a che fare con questo. Per il resto, possono dirmi cosa vogliono».
Le critiche gli scivolano addosso.
«Come possono influenzarmi se ho giocato 15 anni nelle migliori squadre del mondo, segnato più di 300 gol, giocato tre Mondiali e quattro Coppe America? Come può influenzarmi quello che viene da un’altra persona che non sa nemmeno cosa fa della sua vita e basa le sue frustrazioni su di me? Al contrario, rido. Me ne possono dire di tutti i colori, alle critiche che ti fanno devi rispondere: “Sì, hai ragione”».
A Miami è tutto diverso:
«C’è un’altra cultura, un altro rispetto. Non lo so. Analizzano il giocatore nello sport. Non scherzano con il fisico, con i capelli o altro. Criticano il calcio. Se ha fatto qualcosa di buono o no, se l’avrebbe potuto fare meglio o peggio. In Europa parlano più di ciò che è dispregiativo che di ciò che sei veramente come giocatore. Neymar ha detto che voleva andare alla MLS. Vogliono venire tutti! Gli piacerà la tranquillità, il fatto che ci sono meno critici, puoi vivere in sicurezza. Questo è quello che ho sentito almeno».
In Argentina non giocherebbe più.
«Quando chiudo chiudo. Non ho rimpianti su cui affermare: “Avrei potuto dare di più”. Ho dato tutto. Sono partito con la coscienza pulita. Quando non puoi dare di più devi essere intelligente e farti da parte».