De Zerbi e l’Ucraina: «Non avevo capito quel popolo, combatterebbero anche se Zelensky si arrendesse»

Intervista alla Gazzetta: «Sento ancora le bombe. Ceferin ha organizzato la nostra fuga, anche la Christillin si è adoperata da morire»

guerra in Ucraina Shakhtar Veleten

Kharkiv 01/03/2022 - guerra in Ucraina / foto Imago/Image nella foto: guerra ONLY ITALY

Sulla Gazzetta dello Sport bellissima intervista di Alex Frosio a Roberto de Zerbi allenatore dello Shakhtar che ovviamente ha dovuto lasciare l’Ucraina.

Ti capita mai di sentire ancora le bombe?

(guarda la finestra) «Sì. Anche gli aerei».

Degli ucraini De Zerbi dice

«Non li avevo capiti, perché ero immerso nel calcio. Freddi, chiusi, diffidenti. Ma questa guerra mi ha fatto capire il loro orgoglio, la loro dignità. Hanno la libertà da 30 anni, difendono valori che noi diamo per scontati. Ho sentito dire che Zelensky si doveva arrendere subito perché così porta il popolo al massacro. Ma gli ucraini, tutti, combatterebbero pure se Zelensky si fosse arreso, sarebbero ancora lì a combattere. E poi chi dice così dà alla libertà, alla dignità, all’orgoglio, all’appartenenza un valore scontato, dimenticando che qualcuno lo ha fatto per noi tanti anni fa».

Il racconto dei suoi ultimi giorni lì è ovviamente drammatico.

«Andiamo a dormire in hotel. Alle 5 del mattino ci svegliano le esplosioni. Non ero preoccupato che un razzo colpisse l’hotel. Nei primi giorni gli obiettivi erano militari. La mia paura era la fuga. Da Kiev c’è una sola strada che porta a ovest, e al mattino c’erano già 70-80 km di coda. I benzinai avrebbero finito le scorte, mangiare e bere sarebbero finiti. Il rischio era stare 3 giorni in coda, come ha fatto Fonseca, sul pullman con cui è partito il giorno dopo. Il rischio era che se non morivi di bomba o di fucile, rischiavi di morire di fame, di sete, di freddo. Siamo rimasti chiusi in hotel da giovedì a domenica, dormendo al piano -1 dell’hotel, un centinaio di persone con i materassi in terra. Due tre ore a notte. Vestiti».

«Il coprifuoco ci impediva di muoverci: sparavano a vista. Per fortuna ci ha pensato Ceferin. Determinante per la fuga. Ha organizzato lui i treni, in collaborazione con la federcalcio ucraina. E in costante contatto con il presidente Gravina. E voglio menzionare anche Evelina Christillin, che si è adoperata da morire, e Stefano Bonaccini».

Poi, il viaggio attraverso l’Ungheria, fino a Bergamo.

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