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Paola Gassman: «Mio padre era inadatto al ruolo di padre, sbagliò anche a registrarmi all’anagrafe»

Al CorSera: «Sono il frutto di un incidente di percorso. Vittorio è sempre stato un po’ maschilista, con i figli maschi ha scoperto il significato della paternità» 

Paola Gassman: «Mio padre era inadatto al ruolo di padre, sbagliò anche a registrarmi all’anagrafe»

Il Corriere della Sera intervista Paola Gassman, figlia di Vittorio Gassman e Nora Ricci, sorella di Vittoria Gassman, Alessandro Gassmann e Jacopo Gassmann: tutti figli avuti dal padre con mogli diverse. Diverso è anche il cognome, rispetto a quello dei fratelli: nel suo c’è una n in meno. Spiega perché.

«Papà, di origini tedesche, se ne era tolta una dal cognome originale. Quando sono nata io, la primogenita, era giovanissimo e all’anagrafe sbagliò persino il mio giorno di nascita, disse all’impiegato che ero nata il 28 giugno, invece sono nata il 29 giugno, e infatti mi chiamo Paola proprio perché è la festa di San Pietro e Paolo. Ma posso comprendere la sua sbadataggine: aveva poco più di vent’anni e aveva la testa altrove. Forse quella mattina, mentre era in fila per dichiarare la mia nascita, stava leggendo un copione che doveva studiare per andare in scena…».

Il padre, racconta, è stato abbastanza assente.

«Ovviamente assente nella mia infanzia, ma lo scuso per essere stato poco presente, come avrebbe potuto essere altrimenti? Lui stesso si è scusato della sua assenza e del suo non essere all’altezza del compito, non era portato ad assumere questo ruolo. I miei genitori si sono separati quando avevo tre anni ed erano entrambi molto presi dalle loro carriere, io sono il frutto di un incidente di percorso e fino, grosso modo, agli anni dell’adolescenza ho vissuto con mia madre… lui lo vedevo molto poco, era nel pieno della sua affermazione da attore, che per altro non era stata una sua scelta».

Spiega:

«Fu sua madre a spingerlo perché voleva cambiare l’indole del figlio: papà era stato un ragazzino introverso, timido, tutto dedicato allo studio, alla scrittura… voleva diventare scrittore. Ma mia nonna fu drastica e lo costrinse a entrare in Accademia d’Arte drammatica. Una imposizione che risultò assolutamente giusta, tuttavia mio padre, quando era anziano, affermò che quel dover cambiare carattere forse gli causò la depressione, ne aveva pagato in qualche modo lo scotto…».

Lei è diventata attrice nonostante l’opposizione della madre.

«Mia madre, essendo altrettanto figlia d’arte, ha fatto del tutto per impedirmelo, desiderava per me una vita più normale e non come la sua sempre in tournée, da scavalcamontagne. Frequentai il liceo classico Tasso, lo stesso di mio padre, e quando dovevo scegliere la facoltà universitaria, le rivelai la mia intenzione di iscrivermi all’Accademia: scoppiò un melodramma… Tanto che, al mio provino di ammissione, arrivò al punto di raccomandarmi all’incontrario. Alla Silvio D’Amico, naturalmente, conosceva tutti gli attori e i registi che facevano parte della commissione esaminatrice. Li supplicò di non farmi passare l’esame solo perché ero figlia di… preferiva che mi bocciassero».

Invece riuscì a superare l’esame. Solo molto tempo dopo ha accettato di collaborare con il padre, sulla scena.

«E quel lavoro fatto insieme è servito a sciogliere parecchi nodi affettivi e psicologici tra lui e me. Ci facevamo delle sane litigate, che partivano sempre da pretesti magari professionali, discutevamo ad alta voce, fino a urlare… papà sapeva essere anche perfido, ma io gli rispondevo a tono e quei dissidi ci hanno consentito di conoscerci meglio, ci hanno aiutato a essere più vicini e, tutto sommato, a diventare alla fine anche complici».

Sulla sua famiglia allargata:

«Ci vogliamo bene, ci siamo sempre rispettati, proprio grazie ai pregi di chi ci ha messo al mondo: Vittorio, sia pure con una buona dose di egoismo, non ha mai reclamato obbedienza da noi figli. Non era dotato certo di nessuna caratteristica del buon padre, non era portato a esserlo, eppure è stato, a suo modo, un grande padre. Certo, è stato un grande seduttore, però poi le sposava quasi tutte… Insomma, ci ha trasferito degli insegnamenti, senza dettarceli, ma mostrandoli attraverso la sua onestà, il suo rigore, la sua intelligenza e anche, perché no, la sua intransigenza».

Vittorio andava più d’accordo con i figli maschi.

«Diciamo la verità, è sempre stato un po’maschilista e con loro probabilmente ha scoperto il significato della vera paternità. Tra i due, ha seguito soprattutto Alessandro, perché con Jacopo è stato quasi un nonno ed era consapevole che non gli restavano tantissimi anni per seguirne la crescita. Per quanto mi riguarda, negli ultimi tempi mi paragonava in un certo senso alla figura di una madre, ero la più grande e, tra i quattro figli, rappresentavo quella che lo riportava alla sua famiglia di origine: negli ultimi tempi, insomma, tra me e lui bastavano pochi sguardi o semplici gesti molto eloquenti, non c’era bisogno di tante parole… però mi ha dedicato una bellissima poesia, dove dice tra l’altro “anche con te, Paola, sono in debito/perla serenità che mi dai sempre”».

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