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La Juve che paga i 18 milioni all’agente di Vlahovic sarebbe un altro segnale della crisi del calcio?

Che almeno ci risparmiassero la recita. In Italia il mestiere di imprenditore è concepito così, i rischi di impresa se li accolla lo Stato (e quindi i contribuenti)

La Juve che paga i 18 milioni all’agente di Vlahovic sarebbe un altro segnale della crisi del calcio?
Db Reggio Emilia 09/04/2019 - amichevole/ Italia-Irlanda femminile / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Gabriele Gravina

Da giorni siamo costretti ad assistere ad uno spettacolo a dir poco stucchevole. Da Scaroni, da Marotta, da diversi dirigenti del calcio italiano proviene – come se fosse una specie di campagna comunicativa concordata – un accorato e a tratti miserabile appello alle istituzioni ad “aiutare il calcio in crisi dopo due anni di pandemia”. Vengono perfino fatti dei paragoni quantomeno inopportuni con il mondo dello spettacolo e della musica, visto che sono mesi che quasi nessuno riesce ad organizzare un concerto.

La differenza più banale con altri settori, però, è che mentre gli imprenditori del sistema calcio continuano con la cantilena del governo cattivo che non aiuta i club, contemporaneamente le società paiono proprio non conoscere alcun limite nell’accumulare debiti su debiti. Lo prova, in qualche modo, anche questo assurdo mercato di gennaio, con investimenti monstre da parte di quelle stesse società di cui poi viene annunciata un giorno sì e l’altro pure la crisi economica e la necessità di una spending review.

E così, dopo aver versato settantacinque milioni di euro alla Fiorentina di Commisso e dopo aver concordato un contratto da sette milioni netti l’anno col ragazzo – giusto perché è tempo di crisi – la Juventus pare pronta a versare circa diciotto milioni di euro (o giù di lì) ai procuratori di Vlahovic. È un’indiscrezione che si trova su quasi tutti i giornali. Quella dei procuratori è un’altra questione spinosa: mentre tutti fanno finta di lamentarsi del sistema costruito dagli agenti, poi lo rimpinguano. E lo rimpinguano continuamente. La crisi, di fatti, i procuratori proprio non li ha colpiti. I loro ricavi, nel 2021, sono rimasti stabili. E nonostante il nuovo regolamento che dal giugno del 2022 sarebbe destinato a porre – meglio utilizzare il condizionale – un tetto ai loro guadagni, l’impressione è che buona parte della categoria non si sia proprio rassegnata. O che quantomeno provi a battere il ferro finché è caldo. A spolpare fino all’osso.

Almeno le società di calcio, la Lega Serie A, la Federcalcio ci risparmiassero questa recita, questo reiterato piangere miseria col solo obiettivo di scucire soldi allo Stato e quindi ai cittadini. Del resto è il modo in cui in Italia è concepito il mestiere di imprenditore: i rischi d’impresa a spese dello Stato, cioè dei contribuenti.

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