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I Cugini di Campagna: «Esistono 57 versioni di Anima Mia. Ci chiamano anche per farla in Africa»

Al CorSera: «I nostri capelli? Il fatto di averli tutti, a 74 anni, è un dono, è chiaro che sono bianchi, ma finché sto sul palco vestito in quel modo è normale che me li tinga un po’»

I Cugini di Campagna: «Esistono 57 versioni di Anima Mia. Ci chiamano anche per farla in Africa»

Il Corriere della Sera intervista Ivano Michetti, l’anima, insieme al fratello gemello Silvano, dei Cugini di Campagna. Racconta che esistono 57 versioni della canzone cult, “Anima mia”.

«Cinquantasette. La più strana era quella cinese che ho perduto, mentre vado orgoglioso di quelle di Sinatra, Dalida, Baglioni e Frida degli Abba. Anima mia ci ha portato in giro per il mondo, in aprile saremo in America e Canada e mi stanno chiamando anche per farla in Africa».

Parla di come è nata la passione per la musica.

«Parte tutto dalla Fontana di Trevi. Abitavo lì vicino, avevo 9 anni ed ero il classico bambino che prendeva i soldi nella fontana, con un filo trasparente per non dare nell’occhio e una calamita. Mio papà mi sorprese e mi fece nero. La sua punizione fu spedirmi dalle 7 di mattina alle 7 di sera tra le voci bianche della Cappella Sistina. Avevo l’orecchio giusto per fare il musicista e le mie orecchie si aprirono ulteriormente al suono dei contralti e dei soprani».

Il gruppo nacque grazie all’intuizione del fratello.

«Mi convinse mio fratello. Un giorno andammo a cantare in un ristorante dove a cena c’erano Arbore e Boncompagni, i produttori Bruno Zambrini e Gianni Meccia. Cominciammo a cantare Nella vecchia fattoria a cappella con le vocine, il giorno dopo ci fecero registrare Il ballo di Peppe come sigla di “Alto gradimento”; speravamo in una cosa rock, ma andava bene lo stesso. Il nostro gruppo si chiamava La fine del mondo, ma ce lo fecero cambiare nei Cugini di Campagna».

La svolta arrivò nel 1972.

«Tornati da una serata dove avevamo cantato La mucca Carolina e L’Asino di Marenco mio papà ci disse che si era stancato: o cantate o contate. Ossia se avete successo vi mantenete da soli, se no venite a contare i blocchetti di tufo. Quelli che lui produceva in una cava che aveva aperto sulla via Tiburtina. Insomma o il successo o l’attività di famiglia. Io gli dissi che non ero convinto delle canzoni che facevamo e volevo provarne una mia: mio padre mi diede sei mesi di tempo. Mi chiusi in camera e venne fuori Anima mia».

Poi ci fu la scelta del look.

«Pensai al look, agli abiti con le paillettes che ci cucivano le nostre mamme; inventai le zeppe: siccome mio fratello è più piccolino, quell’altro è più alto, immaginai zeppe di misure diverse in modo da essere tutti e quattro alti uguali. E pensai alle voci bianche, la nostra peculiarità doveva essere questa: non si deve riconoscere se canta una donna, un uomo o un bambino».

Il testo di «Anima mia» nacque dopo due giorni di gestazione.

«Era la prima volta che scrivevo un testo. Temevo che non mi avrebbero dato retta, ma io ero sicurissimo del successo e per farla accettare a tutti dissi che l’aveva scritta Franco Migliacci, il grandissimo paroliere. Si vede, mi dissero. Quando fu approvata, rivelai che in realtà era mia».

Il marchio di fabbrica del gruppo sono i capelli.

«Il fatto di averli tutti è un dono, ho 74 anni, è chiaro che sono bianchi, ma finché sto sul palco e mi vesto in quel modo è normale che me li tinga un po’. Ma sono tutti nostri. Ho una foto con mio padre, mia madre e mio fratello (che non ci sono più) e noi due, sembriamo i Jackson Five».

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