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Evra: «Nel calcio c’è una mascolinità tossica che danneggia la salute mentale dei giocatori»

A L’Equipe: «I giocatori temono il giudizio dei compagni. Alla Juve prendevano in giro Llorente perché si commuoveva con i film ma non significava che non potesse combattere in campo».

Evra: «Nel calcio c’è una mascolinità tossica che danneggia la salute mentale dei giocatori»

In una lunga intervista a L’Equipe, Patrice Evra torna sul tema delle molestie sessuali a cui è stato sottoposto a 13 anni dal preside del suo college. Ne aveva parlato anche a Le Parisien, nei giorni scorsi. Racconta l’accaduto nella sua biografia, “I love this game”. Racconta di aver deciso di introdurre questa parte nel libro dopo aver visto con la compagna, Margaux Alexandra, un documentario sulla pedofilia. Mancava un mese alla pubblicazione, chiamò gli editori e li convinse a rivedere tutto.

«Stavamo guardando un documentario sulla pedofilia insieme e improvvisamente ha visto il mio volto cambiare. Mi ha chiesto perché. Ha insistito e in qualche modo è riuscita a trovare la chiave per entrare dentro di me. E mi sono aperto».

Con il suo libro, dice, desidera aiutare le altre vittime della pedofilia a parlare.

«Il mio libro parla di questo, di ispirare le persone. Inoltre, se fosse stato per me, non avrei parlato di calcio in esso, solo della mia filosofia di vita. Il mio messaggio è: “Siate orgogliosi di ciò che siete’».

Racconta che quando ha presentato il libro a Manchester, una donna gli si è avvicinato piangendo, confessando di essere stata violentata a 9 anni dal fratello e di non averlo mai detto a nessuno. Lo ha ringraziato per averle dato la forza di liberarsi da quel peso.

«È stato fantastico. Lì ho pensato: “Colpisci una palla, va bene, ma donarti alle persone è ancora più forte“».

Alcuni giocatori gli hanno scritto in privato raccontando che anche a loro è successo qualcosa di simile.

«Ovviamente, non ho intenzione di costringerli a parlare. Se non parlano, è perché non sono mentalmente pronti a farlo. Deve scattare un clic. Ma il problema è che, di solito, una volta che hai subito questo tipo di abusi, non ti fidi più di nessuno. Sono fiducioso che queste storie alla fine verranno fuori».

Evra dichiara che in ogni club esistono almeno un paio di giocatori gay ma che non escono allo scoperto perché altrimenti la loro carriera finirebbe. Temono soprattutto la reazione dei loro compagni di squadra, più che quella dei loro tifosi.

«Quella dei loro compagni di squadra. Quando ero al West Ham (nel 2018), qualcuno della Federcalcio inglese venne a dirci che dovevamo accettare tutti e che dovevamo evolvere su questi temi. I giocatori si alzarono per spiegare che la loro religione era contraria all’omosessualità. Li ho lasciati parlare prima di dire loro: “Ora stai zitto. Ti rendi conto di quello che ci stai dicendo? Rispetto tutte le religioni, ma prima di tutto dobbiamo rispettare l’essere umano».

Nel libro emerge che i giocatori professionisti assumono spesso posture da macho, e che arrivano a considerare la sensibilità come un difetto. Evra racconta, nella sua biografia, che quando era alla Juventus, Fernando Llorente veniva deriso dai compagni di squadra perché si commosse mentre vedeva un film, in aereo.

«Eppure, ciò non significava che Fernando non fosse pronto ad andare in battaglia durante una partita. Nel calcio non puoi mostrare debolezze, non puoi mostrare differenze, altrimenti sembri vulnerabile. C’è una mascolinità tossica. Non ci rendiamo conto del danno che questo arreca alla salute mentale dei giocatori. Soprattutto perché il vocabolario della guerra viene costantemente utilizzato, confrontando le partite con le battaglie».

Anche lui faceva lo stesso, quando giocava a calcio.

«Assolutamente. Non ero lo stesso Patrice di oggi. Prima della semifinale di Euro 2016 contro i tedeschi feci un discorso nello spogliatoio. Dissi che chiunque non fosse pronto a sopportare mentalmente la pressione di quella partita avrebbe dovuto ammetterlo subito, perché non potevamo permettercelo. Poi ci siamo stretti la mano, guardandoci negli occhi. Avevo bisogno di sentire che i miei compagni di squadra erano pronti al 100% a “mangiare” i tedeschi».

Nel libro racconta alcuni suoi comportamenti aggressivi, come quando prese a calci nel petto Gary Neville come risposta ad un duro placcaggio. Gli viene chiesto se rinnega simili atteggiamenti. Risponde:

«Ammetto tutto. Ho cercato di mostrarmi in questo libro come sono: brusco. Non ho fatto solo cose belle nella mia vita, ma oggi la mia religione è cercare di essere il miglior essere umano possibile. Comunque, non mi piacciono le persone perfette, che padroneggiano perfettamente il loro modo di essere. Voglio dire loro: “Non giocare un ruolo, sii te stesso”».

Nella biografia, Evra suggerisce che la sua natura impulsiva dipenda anche dalla sua difficile infanzia.

«Essere nati neri nel mondo in cui viviamo è uno svantaggio. Ma se in aggiunta cresciamo in un quartiere come il mio… Lì, giocare ai gangster non è uno stile che si sceglie, è solo un modo per sopravvivere. Quindi, se sei abusato sessualmente all’età di 13 anni, sei pronto a combattere contro il mondo intero in modo che nessuno più si approfitti di te».

Nel libro, parlando della sua esperienza al Manchester United, si descrive come un “robot” al servizio del club.

«Ero felice di essere un calciatore, ma non conoscevo l’emozione di “essere felice”. Ho persino sollevato trofei fingendo di essere felice. Come nel caso della finale di Champions League 2008. Ero diventato una macchina vincente».

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