Chi è il ministro dell’Immigrazione Hawke, il Salvini australiano che ha espulso Djokovic

Nipote di rifugiati greci scampati ad un massacro nazista, è contro le unioni gay e sostenitore di una rigida politica d'immigrazione

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Bene, bravi, bis. L’integerrima Australia che per ben due volte ha ritirato il visto al tennista più forte del mondo, ha la faccia bonacciona di Alex Hawke, il Ministro dell’Immigrazione che s’è ritrovato tra le mani il caso politico e diplomatico più abrasivo dello sport moderno. È a lui che anche pubblicamente il premier Morrison ha mollato oneri e onori di una decisione che lo stesso ordinamento australiano prevede come del tutto personalistica: sceglie lui, ne ha pieno potere, se ne può fregare anche dei tribunali. Gli è garantita la prerogativa di cacciare a pedate dal Paese chiunque “per il bene dell’Australia”. Certo, è ammessa la trafila dei ricorsi, è pur sempre una democrazia l’Australia per chi può permettersela. Però, intanto, sul quel muro alla frontiera – come il Colonnello Jessep in Codice Rosso (“voi mi volete su quel muro! Io vi servo in cima a quel muro!”) – c’è Hawke.

Hawke, va detto, è un cognome suggestivo considerato il contesto: nel tennis “l’occhio di falco”, l’Hawk-Eye determina cosa è dentro e cosa è fuori. Al ministro manca solo una “e” finale, per chiudere perfettamente la metafora azzeccata. Perché Hawke è una specie di Salvini australiano.

Il ministro dell’Immigrazione – racconta l’Agenzia Dire – è un australiano di terza generazione, i nonni fuggirono dalla Grecia durante la seconda guerra mondiale. Il nonno materno ha combattuto contro i nazisti a Chortiatis, il villaggio della sua famiglia, sulle montagne di Salonicco. È il nipote di un sopravvissuto a un massacro: le truppe tedesche bruciarono 300 case e giustiziarono 146 tra soldati e civili greci. Molti di loro erano bambini. Era il settembre del 1944. La famiglia di Hawke emigrò in Australia in barca. L’ironia della storia.

Hawke appartiene all’ala più conservatrice del Partito Liberale Nonostante la sua storia familiare, con due nonni costretti a fuggire dalla guerra nel suo Paese, e tutto il portato emozionale annesso, Hawke non ha fatto nulla per cambiare la rigida politica di immigrazione nei confronti di rifugiati e richiedenti asilo, anzi. Dal 2013 – ben prima che la pandemia giustificasse la serrata dei confini – vengono trasferiti nei campi di piccole isole del Pacifico, o rinchiusi per anni nei centri di detenzione. Tipo l’Hotel Djokovic, dove il campione ha passato un paio di giorni mentre i familiari lo paragonavano a Gesù Cristo in croce, e dove forse tornerà a stretto giro. Amnesty International ha ringraziato per i riflettori che di sponda si sono accesi sulle disgraziate condizioni degli altri “ospiti” dell’albergo.

All’inizio della sua carriera politica, avviata lavorando come store-manager in un supermercato, s’è imposto alla guida dei giovani del partito nel New South Wales. È diventato deputato nel 2007 e da allora non ha smesso di arrampicarsi sulla piramide. E’ stato viceministro della difesa, poi il primo ministro Morrison lo ha nominato ministro dell’Immigrazione lo scorso anno, dopo aver notato il suo “lavoro straordinario” nell’evacuare i cittadini australiani da Kabul quando i talebani hanno preso la capitale afgana.

La sua carriera è avvolta da alcune ombre, e qualche gaffe di troppo su questioni sensibili, come la diversità e l’inclusione sessuale. A cominciare dalla sua posizione contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso: “Il nucleo familiare tradizionale è il fondamento della società”, ha affermato nel 2017 dopo aver votato contro la legalizzazione dell’unione tra omosessuali. Un anno dopo, è stato uno dei più forti sostenitori delle nuove regole che avrebbero consentito alle scuole religiose di espellere gli studenti gay, bisessuali o transgender, arrivando a dire che la “persone di fede” erano sotto attacco.

Hawke di fatto è stato promosso ministro dell’Immigrazione a seguito di un rimpasto del governo australiano. E’ considerato il braccio destro del premier. In qualità di ministro dell’Immigrazione la sezione 133 della legge sulla migrazione australiana gli conferisce il potere eccezionale di ritirare nuovamente il visto a Djokovic. Poteva farlo e l’ha fatto. E l’ha fatto “bene”: ha aspettato una settimana, che Djokovic macerasse allenandosi per un torneo che non potrà fare, che fosse sorteggiato in tabellone come testa di serie numero uno. Mettendolo nella posizione di potersi appellare col minimo scarto temporale possibile. Janina Boughey, professoressa associata di diritto pubblico dell’Università del New South Wales di Sydney, ha detto al Sydney Morning Herald che il ricorso è quasi inutile: la discrezionalità del ministro è così ampia da essere “simile al potere di Dio”. 

Hawke è di fatto l’ultima risorsa del governo australiano per riabilitare la sua immagine di Stato “massiccio e incazzato” sconfitto per via giudiziaria, per un vizio di forma, un cavillo. Il suo intervento serve a scongiurare il disastro elettorale imminente. E’ l’uomo giusto al posto giusto: il ministro immigrato contro l’immigrazione.

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