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Il Napoli transformer di Spalletti

Sa adattarsi ai diversi avversari, ha battuto il Cagliari che ha rinunciato a giocare. E lo ha fatto con alcune novità, come la regia di Anguissa

Il Napoli transformer di Spalletti
Napoli 26/09/2021 - campionato di calcio serie A / Napoli-Cagliari / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: Kevin Strootman-Fabian Ruiz

Imprevedibilità è equilibrio

Durante la stagione 2020/21, nell’ambito di questa rubrica, abbiamo più volte evidenziato la necessità per cui l’allenatore del Napoli – a quel tempo era Gennaro Gattuso – dovesse incidere in maniera più consistente sulle partite. Secondo noi avrebbe dovuto farlo attraverso un lavoro sul campo più vasto, più vario. Avrebbe dovuto farlo con delle intuizioni e dei cambiamenti che riuscissero ad andare oltre alcuni concetti già metabolizzati dai giocatori – la costruzione dal basso, le catene laterali, il lancio in verticale per Osimhen – e dagli avversari, nonché affini solo ad alcuni elementi della rosa.

La nostra era una richiesta di imprevedibilità, ma anche di equilibrio tattico: come detto più volte da Luciano Spalletti e anche oggi da Allegri – un allenatore che può sembrare ed essere considerato agli antipodi, più all’antica, rispetto a molti altri tecnici di Serie A – «tutto dipende da come si costruisce il gioco». E questo tutto ingloba la difesa, lo stile di possesso, la capacità di risalire il campo e di essere pericolosi.

È cambiato tutto

Con l’arrivo di Spalletti è cambiato tutto. Nel senso che oggi il Napoli sembra possedere gli strumenti necessari per costruire gioco in modo imprevedibile. E, quindi, per essere una squadra equilibrata, cioè che sa sempre cosa fare con il pallone tra i piedi. Si è visto chiaramente contro il Cagliari, un avversario dalle caratteristiche “nuove” per gli azzurri, almeno in questa stagione. Nessuna squadra, infatti, aveva affrontato il Napoli rinunciando completamente a giocare, scegliendo volutamente di fare solo densità difensiva e nessun tipo di pressing.

Eppure gli uomini di Spalletti sono riusciti a vincere. Magari non hanno offerto la prestazione più scintillante di questo inizio perfetto, anzi sicuramente Napoli-Cagliari non sarà ricordata come una partita spettacolare. Il punto, se vogliamo, è proprio questo: anche in una serata tatticamente difficile, il risultato è stato portato a casa. Perché dietro i valori – elevati – dei singoli c’era, si è vista, una struttura tattica in grado di esaltarli. Di valorizzare le loro caratteristiche.

Le scelte di Spalletti e Mazzarri

I due tecnici hanno disegnato la loro formazione partendo da idee opposte. Spalletti ha scelto la continuità: in fase attiva, il suo Napoli oscillava tra il 4-2-3-1 e il 4-3-3, con Zielinski uomo-cuneo tra i due moduli; in fase passiva, il tecnico toscano ha confermato il 4-5-1. Mazzarri, invece, ha sconfessato la sua intera carriera: non più i canonici tre centrali arretrati, piuttosto una linea difensiva a quattro composta da Zappa, Walukiewicz, Godín e Cáceres, con Nandez e Lykogiannis esterni di centrocampo; il doble pivote era composto da Deiola e Strootman, mentre Marin ha giocato da trequartista a supporto di João Pedro. Anche lui con un compito prettamente difensivo: marcare a uomo Fabián Ruiz.

Spesso, in fase offensiva, questo 4-4-1-1 “scivolava” e assumeva la forma di un 3-5-1-1 spurio, con Zappa che diventava esterno destro a tutta fascia. Ma questo cambiamento si è percepito poco, non fosse altro che per un’evidenza tattica e statistica: il Cagliari non ha mai attaccato davvero, se non con alcuni tentativi di ripartenza, tra l’altro solamente abbozzati. E anche piuttosto velleitari.

In alto, il 4-3-3 del Napoli in fase di costruzione, con Fabián Ruiz come vertice basso del triangolo rovesciato; sopra, invece, vediamo il 4-4-1-1 del Cagliari in fase passiva, senza pressing e con Marin a guardia di Fabián Ruiz.

Queste immagini già abbastanza eloquenti si possono corroborare con dei dati: il Cagliari ha tenuto il baricentro medio a 44 metri, poco oltre la trequarti campo; ha giocato solamente 18 palloni in area di rigore avversaria, con Cáceres e Nandez, un difensore e un centrocampista, a quota 3 tocchi; il tempo totale di possesso palla è stato di 20 minuti e 26 secondi, di cui appena 7 nella metà campo avversaria; ha tirato solo una volta nello specchio di Ospina, su 6 tentativi totali.

Contro una squadra che aveva questa impostazione a dir poco speculativa, e che ha provato per tutta la partita a tenere bassissimo il ritmo proprio e degli avversari, quali sono state le armi, o meglio i principi di gioco attuati dal Napoli per portare a casa il risultato? Innanzitutto, il possesso palla. Che però è stato a due facce: alla costruzione dal basso, che serviva a chiamare in avanti il pressing degli avversari, sono stati alternati dei lanci a ricercare la profondità, soprattutto da parte di Koulibaly (8 passaggi lunghi) e Mário Rui (5). Proprio da due passaggi verticali, serviti entrambi da Anguissa, sono nate le due azioni che hanno determinato la partita.

Anguissa, con i suoi movimenti, manipola il sistema difensivo del Cagliari; Osimhen tiene bassi i centrali avversari; Zielinski si infila in quello spazio; il Napoli fa gol.

È proprio in un’azione come questa che si vede il lavoro di Spalletti: sapendo di poter contare su Anguissa, un giocatore con la sensibilità necessaria a effettuare questo tipo di passaggi, il tecnico del Napoli ha creato un meccanismo di regia alternativo, in cui il centrocampista camerunese si sposta sulla destra, riceve e porta palla e ha diverse soluzioni per poter lanciare in avanti. Una di queste è ovviamente il classico movimento di Osimhen ad allungare o ad allargare la difesa, come nel caso del rigore causato da Godín; in altre occasioni, proprio come avviene con Zielinski nel video appena sopra, il centravanti nigeriano serve “solo” a tenere bassi e occupati i centrali avversari, mentre invece uno dei centrocampisti – oppure i laterali del tridente – attaccano la profondità partendo da posizione più defilata.

Per capire che si tratta di una dinamica tattica studiata e poi applicata in partita, basta guardare le statistiche: Anguissa ha accumulato 90 passaggi, solo 2 in meno di Fabián Ruiz – che in teoria sarebbe il regista deputato degli azzurri. Anche la mappa dei suoi passaggi mostra il lavoro fatto da Spalletti su questa variazione tattica, rivelatasi fondamentale in virtù della marcatura – fissa e a uomo – di Marin su Fabián Ruiz.

Tutti i passaggi tentati da Anguissa nel corso di Napoli-Cagliari. In questo campetto, il Napoli attacca da sinistra verso destra. Siete ancora convinti che lo spostamento di Anguissa sulla destra per fare regia non sia stata una trovata tattica di Spalletti?

L’importanza dei giocatori

Questo è il momento di fare una digressione importante, anzi fondamentale, per andare avanti. Come avviene in tutte le squadre, e con tutti gli allenatori, anche quelli più idealisti e ideologizzati, sono i giocatori a determinare il sistema tattico. Ieri ne abbiamo avuto un esempio: la Lazio di Sarri è molto diversa dal Napoli di Sarri, nel modo di gestire il possesso. Di difendere. Di attaccare. Anche nel Napoli di Spalletti sta andando in questo modo: l’allenatore si sta adattando alla rosa a sua disposizione. E allora se il tecnico toscano affida – prima della partita, o anche in itinere – dei compiti di regia ad Anguissa, è perché sa che può farlo. Cioè sa che può rimodellare la sua idea di Napoli, perché può contare sul fatto che Anguissa possegga le qualità per portare a termine quel tipo di attribuzioni.

Lo stesso discorso vale per Osimhen: senza il centravanti nigeriano che allunga e allarga la difesa avversaria, che la tiene costantemente in allerta, che arriva a sprintare fino a 32 km/h, che macina una distanza percorsa totale di 8 km, che subisce pressione nel 68% delle sue azioni offensive, che vince 3 duelli aerei su 3 tentativi, il Napoli non potrebbe giocare in questo modo. Senza Osimhen non avrebbe senso la regia di Anguissa sul lungo, ovviamente. Ma non ne avrebbe neanche quella di Fabián Ruiz o di Jorginho o di Pirlo, perché non ci sarebbe un attaccante bravo a sfruttare in prima persona quel tipo di passaggi, oppure a determinare le condizioni perché i suoi compagni – come Zielinski nel caso del primo gol – possano sfruttare gli spazi che si generano di conseguenza.

Tutti i palloni giocati da Osimhen: ecco cosa vuol dire allungare, llrgre, tenere sempre sotto pressione la difesa avversaria.

La differenza con lo scorso anno è che Spalletti ha creato un sistema in cui il Napoli adopera il lancio lungo su Osimhen come uno degli strumenti a disposizione per vincere le partite. Non come lo strumento numero uno. Anche perché non è detto che funzioni. Col Cagliari, anzi, l’innesco per l’attaccante nigeriano ha portato i suoi frutti proprio perché prima c’è stato uno spartito da seguire, ci sono stati dei meccanismi di possesso da attuare per muovere la difesa avversaria. Per creare gli spazi necessari affinché il centravanti ex Lille potesse scatenarsi.

Oltre al possesso basso e alla regia di Anguissa, infatti, la squadra di Spalletti ha fatto vedere molte altre cose interessanti: una rinnovata capacità di ricreare i triangoli del gioco di posizione sulla fascia sinistra, con Mário Rui e Insigne che hanno toccato 85 palloni a testa; nonostante questa tendenza, la fascia più utilizzata per costruire gioco è stata la destra, con quasi il 40% di azioni nate dalla parte di Di Lorenzo, Politano e soprattutto Anguissa; infine, gli azzurri hanno manifestato una continua ricerca del dribbling, con addirittura 20 tentativi totali. Giusto per chiarire le proporzioni: il Sassuolo, ovvero la squadra che ha la media di dribbling tentati più alta in Serie A, tocca quota 12,2 per match.

Le conseguenze di tutto questo (sulla difesa)

Come detto in precedenza, non solo da noi, il modo in cui si costruisce gioco finisce per rendere equilibrata una squadra. È la cosa più bella del calcio contemporaneo: non è più un gioco sequenziale, in cui attacco e difesa sono mondi e momenti separati, ma è uno sport profondamente strategico in cui tutti gli aspetti sono concatenati, legati tra loro. Nel Napoli, il cambiamento in positivo rispetto al recente passato è evidente soprattutto in difesa. Non solo per i pochissimi gol incassati (2 in 6 gare di campionato) o per il numero contenuto di tiri concessi agli avversari (8,3 per match, solo il Torino scende fino a quota 8), quanto per la sicurezza con cui la squadra di Spalletti si esprime in fase passiva.

Come si vede nelle due immagini sotto, anche la fase passiva del Napoli può variare e varia nel corso della stessa partita. Tutto dipende dal contesto: quando si prospetta la possibilità di recuperare il pallone in alto, allora la squadra alza tantissimo il suo baricentro e intensifica il pressing, togliendo così anche la profondità agli avversari; quando invece la pressione è più rischiosa, e/o viene superata la prima linea di ingaggio, tutti si compattano a fare densità. A protezione degli spazi.

In alto, un momento in cui il Napoli porta sei giocatori nella trequarti avversaria per pressare la costruzione arretrata del Cagliari; sopra, invece, un momento in cui la squadra di Spalletti è rinculata a protezione degli spazi.

Nella gara con il Cagliari, la sensazione di dominio totale è stata accentuata dal fatto che la squadra di Spalletti fosse molto alta in campo. Era inevitabile: per provare a muovere i blocchi arretrati allestiti da Mazzarri, l’unica possibilità era quella di portare più uomini possibili nella metà campo avversaria. Come detto sopra, però, la capacità di muovere il pallone sempre seguendo uno schema, e non sempre lo stesso schema, ha portato il Napoli a non concedere transizioni pericolose.

Certo, su quest’ultimo aspetto ha pesato anche l’inconsistenza del Cagliari in fase offensiva, non a caso a Genova contro la Sampdoria gli uomini di Spalletti hanno sofferto per una certa fase del match. Ma il punto è che il Napoli 2021/22 è una squadra che sembra finalmente capace di uscire indenne – o quasi, come a Leicester – dai momenti e dai contesti tattici difficili, così come di imporre il proprio gioco. Anche e soprattutto dal punto di vista difensivo.

È per questo che pure Mário Rui, Rrahmani e lo stesso Di Lorenzo stanno avendo un rendimento migliore rispetto all’anno scorso: giocano e si esprimono in un sistema che funziona. E che li costringe in poche occasioni a difendere in area – la condizione che Mário Rui, per esempio, soffre di più. È una semplice questione statistica: diminuendo il numero di occasioni in cui c’è l’uno contro uno puro, anche un terzino dal fisico minuto come il portoghese può offrire prestazioni migliori. Allo stesso tempo, però, non c’è l’esasperazione della pressione alta come ai tempi di Sarri.

Conclusioni

Il buonissimo approccio dei giocatori subentrati completa il quadro positivo emerso da Napoli-Cagliari. È evidente che la struttura ibrida costruita da Spalletti riesca a far sentire tutti coinvolti, e non solo dal punto di vista del puro e semplice minutaggio in campo. Certo, ci sono giocatori più forti e più influenti rispetto ad altri, giocatori che quindi sono e saranno più difficili da sostituire – Osimhen, ovviamente, ma anche Koulibaly, Fabián Ruiz, Anguissa. Ma proprio la possibilità – anzi: la capacità – di alternare schieramenti e stili molto diversi tra loro rappresenta una risorsa inestimabile. Anche perché in questo modo il turn over non è solo un concetto verticale (Osimhen/Mertens/Petagna nello slot di prima punta), ma anche orizzontale (anche Insigne e Lozano potrebbero essere usati in quella posizione, per esempio).

La prossima partita di campionato, contro la Fiorentina di Italiano, sarà un banco di prova importante. Per la prima volta, infatti, il Napoli di Spalletti incontrerà una squadra che ha una fase di possesso sofisticata e ambiziosa, che punta a muovere gli avversari facendo muovere la palla. Al di là del risultato, sarà interessante capire l’approccio degli azzurri. Quali armi offensive e strategie difensive sceglieranno per provare a limitare dei calciatori allenati e mentalizzati per dominare le partite, quantomeno per provare a farlo. La vera forza del Napoli è proprio questa: è diventato imprevedibile ed equilibrato, è difficile leggerlo e quindi affrontarlo. Era ora.

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