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Lo Sheriff che batte il Real vale un gol di Messi. Non è solo romanticismo anti-Superlega, sono soldi

Agnelli e Florentino ignorano un principio: al pubblico piace il lusso, ma pagherebbe oro per assistere alla sua depredazione persino violenta

Lo Sheriff che batte il Real vale un gol di Messi. Non è solo romanticismo anti-Superlega, sono soldi
Madrid 28/09/2021 - Champions League / Real Madrid-Sheriff Tiraspol / foto Imago/Image Sport nella foto: Yakhshiboev-Costanza-Kolovos- Traore

Non sputare in cielo, diceva il saggio, che in faccia ti torna lo Sheriff. Il quale non sarà una favola in formato principi che salvano principesse al bacio, ma ha i tempi di un grande scherzo divino. Uno – Agnelli – non fa in tempo a dettare la sua “visione” di “nuova meritocrazia” che la meritocrazia vecchio stile piazza una squadra della Transnistria vincente al Bernabeu, contro il Real. In Champions. Florentino Perez l’aveva detto che “ai gironi ci sono partite davvero difficili da guardare”. Intendeva altro, con malcelato snobismo. Quel che i due principali ideologi della Superlega non colgono è il valore simbolico di un tale collasso degli dei: un’occasione di redenzione.

L’affermazione dell’ennesimo Davide su uno dei tanti Golia rimasti è una “contropropaganda”, come scrive As. Alza il vessillo del romanticismo, ed annega nella retorica dell’impresa. Ma le belle storie sono l’anima dello spettacolo, e quindi perfettamente riducibili all’anima commerciale che il calcio non nasconde più, si parli della Champions di Ceferin o della Superlega dei ribelli. Lo Sheriff rappresenta il dubbio. La possibilità. Il fascino del deragliamento. Ed è monetizzabile come e più di un fight club privato di superstar che scazzottano vicendevolmente ad oltranza.

La Champions ha messo in scena in contemporanea entrambe le facce dello stesso possibile mercimonio: il Psg che batte Guardiola, e una sconosciuta formazione apolide che trionfa in uno dei templi del pallone mondiale. Che sia più seducente il gol di Messi o quello di Yakhshiboev o di Thill, poco importa. Perché funzionano perfettamente, entrambi. Richiamano porzioni di pubblico diverse, contribuiscono allo show e grettamente al suo profitto. Alla gente piace il lusso, ma pagherebbe oro per assistere alla sua depredazione, persino violenta. Che Agnelli, o chi per lui, non ne percepisca il valore è aderente con l’immagine di uno sport questuante, preda dei grandi fondi sovranazionali e del loro cash flow.

Quando Florentino Pérez blatera di “calcio dei contenuti” esattamente di cosa parla? E Agnelli che arriva a rinnegare – nientemeno – gli equilibri geopolitici e commerciali dei campionati nazionali pur di teorizzare “una nuova meritocrazia che non può basarsi esclusivamente sulle performance domestiche” cosa propone? Una ridefinizione dei confini? Un Gerrymandering del calcio europeo? Lo sa che la Juve degli ultimi anni si regge esclusivamente sulle “performance domestiche”?

Che il calcio delle superpotenze sia destinato al numero chiuso è fuor di dubbio. Non sarà ora la Superlega, ma la riforma della Champions punta nella stessa direzione. L’investimento economico e politico sul livellamento elitario, altrettanto, prevede una serie di meccanismi assicurativi: bello, romantico, lo Sheriff; ma che non si ripeta.

Non tradurre la suggestione delle storie in mercati da sfruttare, non approfittare di questa manna che lo sport tiene in serbo per rari momenti di splendore emotivo, è miope. Il fatto che non ci arrivino, e che continuino a sputare in cielo, è tutto sommato coerente con la crisi sistemica che hanno creato.

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