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Tsimanuskaia: «In Bielorussia mi aspettava il carcere o un ospedale psichiatrico»

Intervista al Paìs dell’atleta rifugiata politica in Polonia per aver osato criticare i suoi allenatori: «Non mi aspettavo che questa storia diventasse uno scandalo di politica internazionale»

Tsimanuskaia: «In Bielorussia mi aspettava il carcere o un ospedale psichiatrico»

 

“In Bielorussia mi aspettava il carcere o un ospedale psichiatrico. Le persone non ne escono facilmente”

Parole di Kristsina Tsimanuskaia, 24 anni, velocista bielorussa, vero e proprio caso politico di queste Olimpiadi Tokyo. È rifugiata politica in Polonia, in fuga dal regime di Lukashenko. Ha concesso un’intervista a un gruppo di giornali (El Paìs, Gazeta Wyborcza e Die Welt).

Per Tsimanuskaia i problemi sono cominciati lo scorso fine settimana quando su Instagram ha criticato i suoi allenatori sui social media (altro che la scherma in Italia). Dopo questa uscita, ha rivelato di essere stata obbligata a tornare immediatamente a Minsk.

“Mi hanno detto che la decisione era stata presa ad alti livelli, che dovevo fare rapidamente le valigie e rientrare, mi aspettavano gravi conseguenze. Uno psicologo della squadra mi ha spaventato. Ha cercato di farmi pressione, e mi ha spaventato. Ha iniziato a raccontarmi cose terribili su alcuni stati di follia; ha detto che alcune persone, in situazioni simili alla mia, si sono tolte la vita”.

Anche i suoi genitori le hanno consigliato di non rientrare. Si è definita finalmente al sicuro in Polonia, al punto che è riuscita a dormire.

Dello status su Instagram dice:

L’ho pubblicato sull’onda emotiva, non ci ho pensato. Più tardi, dopo le minacce, l’ho rimosso. Il mio non era un manifesto politico. Ho solo espresso il mio sdegno per la decisione di allenatori e funzionari bielorussi di iscrivermi a partecipare a una disciplina per la quale non mi sono mai allenata in vita mia. Sentivo che non avevano alcun rispetto per gli atleti, per il mio lavoro e per lo sforzo che ho profuso nello sport. Non mi aspettavo che una vicenda sportiva diventasse uno scandalo politico internazionale. Né che mi sarei trovata a chiedere aiuto a un poliziotto dell’aeroporto giapponese con un messaggio scritto su un traduttore automatico di Internet: “Aiuto, stanno cercando di portarmi nel mio paese con la forza. Sono in pericolo.”

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