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L’Europeo non ha detto nulla di nuovo di Insigne, nel bene e nel male

Tra il gol al Dortmund (2013) e quello al Belgio, non c’è stata la crescita che il suo talento avrebbe meritato. È rimasto lì, nella terra di mezzo. Oggi lui e il Napoli si somigliano di più

L’Europeo non ha detto nulla di nuovo di Insigne, nel bene e nel male
Napoli 18/09/2013 - Champions League / Napoli-Borussia Dortmund / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: esultanza gol Lorenzo Insigne al Borussia Dortmund, in primo piano Aubameyang

È cambiata la dimensione di Lorenzo Insigne dopo gli Europei? È una delle domande più gettonate, ovviamente a Napoli, al termine del felice percorso della Nazionale di Mancini. Insigne è il 10 della squadra che ha vinto l’Europeo. È il capitano del Napoli. Ed è alla vigilia della trattativa che potrebbe farlo rimanere a vita nel Napoli, oppure decretarne una rumorosa separazione.

La risposta alla domanda iniziale, per chi scrive, è no. A questi Europei non abbiamo visto di Lorenzo Insigne nulla che non conoscessimo. In positivo e in negativo. Anche noi ci siamo lasciati trascinare dagli eventi, dal gol e dalla prestazione contro il Belgio nei quarti di finale. Ma potremmo essere annoverati tra i detrattori di Insigne se negassimo lui quei colpi li ha sempre avuti. Ed è questo il punto. Sin da subito, Insigne ha mostrato picchi notevoli dal punto di vista tecnico e anche balistico. Se consideriamo troppo asfittico l’universo della Serie A, e quindi non citiamo il gol decisivo che segnò al Cagliari in pieno recupero con Mazzarri in panchina, non possiamo però non ricordare le gemme che hanno contraddistinto la carriera di Lorenzo.

Pochi mesi dopo quel gol al Cagliari, Insigne stupì l’Europa con una punizione che mandò al tappeto il Borussia Dortmund di Klopp – allora vicecampione d’Europa – e costrinse il portiere a perdere uno o due denti. Era il Napoli di Benitez l’uomo che – tra mille polemiche di quartiere – lavorò per dare a Insigne una dimensione di calciatore internazionale. A 22 anni, Insigne mostrò quel talento per cui ancora oggi facciamo finta di sorprenderci.

In realtà, volendo affrontare un discorso sempre complesso da fare alle nostre latitudini, il grande limite – potremmo definirlo anche peccato – di Insigne è stato di non muoversi da lì. Da quel talento sopraffino che sta lì, è talmente evidente, e negarlo sarebbe un esercizio di non-sense. Nel 2013, al Dortmund, al suo esordio in Champions, Insigne segnò un gol più bello – e altrettanto pesante – di quello al Belgio. Volendo, possiamo ricordare le tante chicche che il capitano ha prodotto: la doppietta alla Fiorentina in finale di Coppa Italia (Benitez), una prestazione da incorniciare contro la Roma di Garcia, sempre ai tempi di Benitez, la rete con cui portò il Napoli in vantaggio al Santiago Bernabeu o al Manchester City (con Sarri), e anche quelle con cui (Ancelotti in panchina) stese il Liverpool di Klopp e spaventò il Psg.

Insigne somiglia di più a quel che per decenni è stato il profilo dei tennisti italiani. Innegabilmente talentuosi ma cronicamente incapaci di costruirci l’intelaiatura di un campione. È il motivo per cui, a trent’anni si esprimono di Insigne gli stessi giudizi che venivano espressi quando ne aveva ventidue. In questo, il suo destino è molto simile a quello di Immobile. Entrambi evidentemente dotati ma: Immobile, quando ha avuto le sue chance all’estero, le ha sempre fallite, anche nel Dortmund dove fu voluto da Klopp, e per rinascere è dovuto tornare in Italia in squadre come il Torino e la Lazio; Insigne vere e proprie offerte in squadre top d’Europa non le ha mai avute, persino quando lo ha desiderato e infatti si è anche legato a Mino Raiola. Certo ha contribuito alla crescita del Napoli con cui ha sfiorato uno scudetto e si è tolto un bel po’ di soddisfazioni, ma è sempre rimasto al di qua del confine tra il giocatore talentuoso, anche forte, e il campione che fa la differenza. Nel 2021 come nel 2013.

Gli Europei, com’era fisiologico che fosse, hanno riprodotto l’identica parabola. Ha avuto un ruolo centrale. Ha giocato bene, a tratti benissimo. Ma, altrettanto prevedibilmente, quando la tensione è salita, quando c’è stato da giocarsi il dentro o fuori, sono stati altri i calciatori che sono emersi. È Darwin. È selezione naturale. È la ferocia della natura. È il motivo per cui lo sport affascina, mondato da questa repellente ostentazione buonista che ormai permea buona parte del racconto sportivo (e non solo) italiano. Quando il pallone ha cominciato a scottare per davvero, sono emersi Donnarumma, Bonucci, Chiellini, Chiesa, Jorginho. Con buona pace di chi – compresi signori allenatori – definiscono Insigne il miglior calciatore italiano. Forse alla base c’è una diversa idea del significato di sport, di competizione, di superamento dei propri limiti.

Questa elementare constatazione nulla toglie al valore di Lorenzo, aiuta a confezionarne la dimensione. A nostro avviso non dovrebbe essercene bisogno, a trent’anni le vite dei calciatori parlano. Sarà un caso ma quando ci siamo giocati i rigori in semifinale e in finale, Insigne non c’era. Ha fatto, anche molto bene, altro. Ha contribuito a portarci lì. Sì. Ma in quel momento non c’era.

Riducendo ora il discorso al Napoli, Insigne è certamente un calciatore importante. Il Napoli non è più quello di due anni fa, quando sembrava un club in via di espansione pronto a spiccare il volo per l’ultimo miglio. E che aveva l’ambizione di essere un club con tanti giocatori molto forti.

Oggi il Napoli è un club in fase di rinculo. È rimasto due anni di fila fuori dalla Champions. In due anni è passato dall’essere l’anti-Juve a farsi superare in tronco dall’Atalanta e anche dal Milan. E i dirigenti che hanno premuto per un infelice cambio di direzione tecnica, sono tutti lì, allegramente in prima fila. Come se nulla fosse. La colpa è stata del Covid. Il Napoli è un club in declino, almeno per quel che concerne gli ultimi due anni. La novità, non da sottovalutare, è rappresentata dall’arrivo di un signor allenatore come Luciano Spalletti. Tecnico di rango, in campo e fuori. Un allenatore che potrebbe lavorare, con ottimi risultati su Insigne.

In questo contesto, con le idee chiare su chi sia Lorenzo, il capitano può restare. Oggi Insigne e il Napoli si somigliano un po’ di più rispetto a due anni fa. Magari con Spalletti la squadra potrà riprendere il cammino virtuoso. E magari Insigne si rivelerà uno di quei calciatori capaci di migliorarsi dopo i trent’anni. Basta non farsi eccessive illusioni. E non raccontarsi che questo Europeo chissà cosa ci abbia fatto vedere. Insigne ci ha sempre mostrato numeri da perdere la testa. I suoi limiti, come abbiamo visto in questo quasi decennio, sono sempre stati altri.

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