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“Comedians”, la favola che dimostra il valore del comico

Il film è di Gabriele Salvatores ed è un riadattamento dell’omonima pellicola del 1975 di Trevor Griffiths. È straniante rispetto a ciò che siamo abituati a vedere

“Comedians”, la favola che dimostra il valore del comico

Ieri sera abbiamo fatto una cosa vintage – che ora è sinonimo di prepandemico – e siamo andati in una sala storica della provincia napoletana – il “Supercinema” di Natale Montillo a Castellammare di Stabia – a vedere il film “Comedians” di Gabriele Salvatores, che il regista milanese di origine napoletana ha preparato nella fase nera del primo lockdown.

Riadattato dal famigerato “Comedians (1975)” del commediografo di Manchester Trevor Griffiths – e lontano dal primo adattamento che Salvatores fece nel 1985 – questo “Comedians” già dall’inizio è straniante rispetto a quello che siamo abituati a vedere oggi. Tom Waits con il suo “Rain dogs” è l’apertura di questo bell’esperimento di cinema da camera che vede otto aspiranti comici televisivi frequentare il corso serale di Eddie Barni (Natalino Balasso) ex capocomico di grido degli anni ‘70 nei club meneghini. La variegata posse umana è composta da Filippo e Leo Marri (Ale&Franz), fratelli divisi ed uniti nel dolore di una genetica ballerina che ha portato la demenza nella loro stirpe; da Samuele Verona (Marco Bonadei) proprietario di un club a Quarto Oggiaro di origine ebraica; da Gio Di Meo (Walter Leonardi) l’operaio egoista con moglie grassa; dal meridionale Michele Cacace (Vincenzo Zampa) che cerca un’indipendenza economica e da Giulio Zappa (Giulio Pranno), il ventiduenne del gruppo che cerca di scardinare con l’odio la sua realtà che non gli piace.

Questo coacervo umano mal strutturato deve affrontare la prima prova del pubblico e solo uno tra di loro sarà scelto dal manager pecoriccio Bernardo Celli (Christian De Sica) che garantirà loro un lavoro ed un contratto. Nella saletta dove provano prima della Prima in una Milano di periferia livida ed uggiosa gli aspiranti comici sono stretti dalle lezioni del Maestro Barni che ritiene che la comicità sia un mezzo e non un fine e che si debba rispettare il pubblico e le convinzioni del selezionatore che invece giudica stupidi i fruitori e crede che due risate siano meglio di una. Sulla lavagna della classe fa bella mostra di sé in penombra la citazione shakesperiana (Macbeth), “la vita è solo un’ombra che cammina, un povero attorello sussiegoso che si dimena sopra un palcoscenico per il tempo assegnato alla sua parte, e poi di lui nessuno udrà più nulla”.

Nell’epilogo – ritmato da una cover de “Il volo del calabrone” con la chitarra di Peppe Cairone -, al di là dei sommersi e dei salvati – la favola dimostrerà il valore del comico, che è l’altra parte di quella cosa tremenda, ma molto umana che è la tragedia. Che deriva dalla radice indoeuropea trag- , che vuole dire distruzione.

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