Il preparatore atletico al CorSport: «Ci aspetta un torneo ad handicap in coda a una stagione mai vista. Il carico di stress accumulato è troppo»

Il Corriere dello Sport intervista Paolo Bertelli, da 35 anni preparatore atletico. Ha lavorato alla Fiorentina e alla Samp con Ranieri, a Venezia, nell’Udinese e nella Roma con Spalletti, fino alla Juventus, con Pirlo. Il tema è l’Europeo, lo sforzo che si chiede ai calciatori dopo una stagione già difficile per il Covid.
«Ci aspetta un torneo ad handicap in coda a una stagione mai vista. Si gioca oltre ogni limite, ormai».
Il problema è soprattutto lo stress.
«Diciamo che la natura degli infortuni, soprattutto muscolari, è in genere di media gravità. Ma il carico di stress accumulato, con la pandemia poi, fa sì che fisiologicamente certi ritmi non si reggano. E non è il calendario europeo il problema, anzi».
Il numero di partite ottimale, dice, sarebbe 6 in quattro settimane, con l’alternanza di due finestre vuote.
«Il problema è che c’è chi arriva avendone giocate anche 10 in un mese, come capitato alla Juve tra il 3 gennaio e il 2 febbraio. Adesso, più che allenare, si tratta di mantenere brillanti i ragazzi, sapendo che chi gioca meno ha bisogno di un lavoro mirato, non solo di freschezza».
Bertelli racconta come ha visto cambiare il mondo della preparazione atletica.
«Rivoluzionarsi. Dalle tre fasi distinte, tecnica, tattica e atletica, si è arrivati a programmi integrati. E se prima uno staff era al massimo di tre/quattro persone adesso siamo anche a dieci professionisti. In questo quadro la tecnologia è venuta incontro proprio alle esigenze della Nazionale. Già prima di Francia 2016 iniziammo a mettere in condivisione più dati possibili, in modo reciproco. Si è poi arrivati a una app federale, e a una banca dati che viene continuamente aggiornata. Ci scambiamo informazioni sui minuti giocati, su quanto e come ogni calciatore si è allenato, su quale lavoro specifico è necessario, nelle salute individuali».
Gli infortuni non si possono evitare, ma almeno si conoscono i rischi.
«Adesso hai la precisa percezione del rischio. Che è cresciuto a causa del peso della pandemia: l’ansia, la condizione psicologica ha pesato, come hanno pesato gli strascichi del Covid, su chi lo ha preso e su chi è stato costretto a saltare la turnazione di reparto per l’assenza di un compagno positivo».
C’è però un calciatore sui generis: Kantè.
«Il giocatore bionico. Non perché abbia numeri da superatleta, anzi. Ma perché è uno che consuma pochissimo, a parità di prestazione il che gli consente di non spegnersi mai e infortunarsi pochissimo».